Scrive su Facebook “i vigili vanno bruciati”, per i giudici non è reato: “Sfogo da bar”

Prendersela con i vigili urbani che fanno multe per divieto di sosta, esprimendo verso di loro pesantissimi insulti oltre a commentare che "vanno bruciati vivi", non è reato. È quanto hanno stabilito i giudici della Corte d'appello di Trento che hanno assolto l'autore di un inviperito post, comparso sulla pagina Facebook della testata L'Adige a commento della notizia di multe emesse dalla polizia locale della città contro automobilisti che sostavano davanti a una scuola. I fatti risalgono al 2015 quando l'imputato aveva scritto "I vigili vanno bruciati vivi con la benzina…feccia", forse credendo di passare inosservato. Le sue parole però erano state giudicate eccessivamente violenta alla polizia locale di Trento che lo aveva denunciato, facendo partire a suo carico una indagine che ha portato ad un procedimento penale, con il Comune che si era anche costituito parte civile.
In primo grado in effetti l'imputato era stato dichiarato colpevole del reato di diffamazione aggravata e condannato a venti giorni di reclusione oltre al risarcimento del danno – pari a 2500 euro – a favore del Comune di Trento. In appello però la sentenza è stata ribaltata perché il fatto non sussiste. Per i giudici infatti si è trattato di un semplice "sfogo da bar", "un'attività critica rivolta in maniera generica ad una intera categoria" e non diffamatoria. Il commento, insomma, "non appare tanto più offensivo, attesa la sua genericità, dell’altrettanto “raffinato” commento “andate a c…re” da parte di altro utente", si legge nella sentenza.
La Corte dunque ribadisce che si tratta di "una, per quanto rozza, espressione di pensiero e di libero esercizio di un’attività di critica", sottolineando che la frase incriminata "non si distanzia molto dalle scritte ricorrenti sui muri della città" come quella che "campeggia da anni sui muri del vecchio carcere ed è stata ormai letta da molti più passanti degli utenti trentini che frequentano Facebook". Fondamentale per questa decisione quindi il contesto in cui è apparso il commento: i social media che, concludono i giudici, "riproducono quelli che una volta erano sfoghi da bar, amplificandone la portata e, al tempo stesso, ‘sgonfiandone' la carica offensiva in una agorà virtuale dalla memoria breve".