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Sara Pegoraro, l’autopsia: la modella 26enne uccisa da mix di droghe

Sul decesso di Sara Pegoraro, l’autopsia conferma dunque la prima ipotesi investigativa avanzata dagli inquirenti che parlando di una morte in conseguenza di altro reato.
A cura di Antonio Palma
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Sarebbe stata l'assunzione di un mix di sostanze stupefacenti a uccidere Sara Pegoraro, la modella e influencer trevigiana di 26 anni, morta per un improvviso malore la sera del 24 giugno scorso nella sua casa di Villorba.

Sono queste infatti le prime risultanze emerse dall'autopsia sul corpo della giovane condotta lunedì dal medico legale incaricato dalla Procura veneta che indaga sui fatti.

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La causa di morte di Sara Pegoraro, secondo l'esame post mortem, sarebbe da ricondurre dunque a un arresto cardiocircolatorio provocato dall'assunzione di più di uno stupefacente.

Sarebbero confermata dunque la prima ipotesi investigativa avanzata dagli inquirenti che stanno procedendo fin dall'inizio con un fascicolo che ipotizza una morte in conseguenza di altro reato.

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Restano però ancora molti i punti oscuri sulla morte della modella 26enne. Dalle sostanze esatte che avrebbe assunto, allo spacciatore che le avrebbe venduto lo stupefacente o gli stupefacenti che si sono rivelati fatali al ruolo della psicologa che l'avrebbe visitata senza accorgersi del suo stato mentale.

Gli inquirenti infatti al momento ancora non sono riusciti a individuare il pusher che ha ceduto la sostanza mentre si sta cercando di appurare il ruolo della professionista.

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La psicologa, che lavora per la Usl 2 di Treviso, è stata iscritta nel registro degli indagati dal pubblico ministero Anna Andreatta per l'ipotesi di reato di omicidio colposo.

L'ipotesi della magistratura, tutta a da accertare, è che la professionista non si sarebbe del grave stato della paziente pur avendola visitata dopo un'altra probabile crisi di overdose avvenuta il giorno prima del decesso di Sara Pegoraro.

La 26enne infatti era stata notata mentre camminava barcollando, fino a cadere dentro ad un fossato ma la professionista non le avrebbe prescritto alcuna cura né segnalato il caso.

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