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Rapimento Abu Omar, la spia della Cia: “Italia e Usa collusi”

Sabrina De Sousa: “Usa e Italia hanno punito dei capri espiatori, mentre i veri responsabili restano impuniti”.
A cura di Davide Falcioni
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Sabrina De Sousa era una spia della Cia quando, il 17 febbraio del 2003, Abu Omar venne rapito a Milano. La donna, ora condannata nel nostro Paese insieme ad altre 22 persone per la  extraordinary rendition dell'imam, ha deciso di raccontare la sua versione dei fatti in un'intervista rilasciata al sito statunitense McClatchydc.com. La donna accusa la Cia e anche le autorità italiane di aver effettuato un'operazione "ingiustificata ed illegale", e che Usa e Italia hanno "punito dei capri espiatori, mentre i veri responsabili restano impuniti”. Più nei dettagli la donna racconta di aver fatto da interprete agli uomini della Cia a Milano, che nel 2002 iniziarono la pianificazione del rapimento. La donna faceva dunque da traduttrice verso il Sismi, ma afferma di non aver preso parte all'operazione perché era in settimana bianca insieme al figlio. Nel 2009, prima di rassegnare le dimissioni, aveva scavato negli archivi della Cia alla ricerca di documenti sul caso: “Ero ritenuta responsabile per le decisione che aveva preso qualcun altro  – racconta la donna – e volevo capire su quali basi quelle decisioni erano state prese”.

Abu Omar era l'Imam di Milano e veniva considerato dalla Digos un uomo pericoloso, perché vicino ad organizzazione dell'Islam radicale. Tuttavia la polizia italiana non potette mai arrestarlo, in mancanza di prove schiaccianti. Per questo ci pensò la Cia, sotto la determinante spinta di Jeff Castelli, capo della cellula roma, ansioso di mettere a segno un colpo. Spiega De Sousa: "Come tutti dopo l’11 settembre, era pressato dal quartier generale della Cia perché facesse qualcosa contro Al Qaeda”. Secondo la donna, Castelli era molto ambizioso e desiderava una promozione, per questo "andò al Sismi e chiese che i servizi italiani partecipassero alla rendition, ma il Sismi rispose di no". Il rapimento non venne evitato neppure dall'opinione di Robert Seldon Lady, capo della cellula milanese della Cia, che si oppose inutilmente.

Racconta De Sousa che Castelli fece pressioni sull'allora capo del Sismi Nicolò Pollari perché desse il suo ok all'operazione. "Esiste una traccia scritta che tutto ciò avvenne", spiega la donna, citando dei cablogrammi della Cia di cui sarebbe venuta in possesso. “Pollari – continua De Sousa – si rifiutò, dicendo che la rendition sarebbe stata un’operazione illegale se non fosse stata approvata dalla magistratura”. Ma le pressioni non si fermarono: i vertici dell’agenzia insistevano affinché il Sismi e l’allora premier Berlusconi dessero il loro ok, altrimenti “non sarebbero potuti andare da Condoleeza Rice (allora consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ndr) e da Bush per farsi autorizzare l’operazione”. Cosa fece dunque Castelli? “Castelli – sopiega De Sousa – mi disse: ‘Ho parlato con Pollari e lui non metterà mai nulla per iscritto (…). Ma mi ha dato la sua tacita approvazione”.

De Sousa racconta come vi fosse stato un cablogramma nel quale Castelli parlò di una intercettazione telefonica in cui Abu Omar rifletteva sulla possibilità di colpire un autobus appartenente alla American School di Milano. Cosa di cui però la Digos "non era eccessivamente preoccupata perché non c’erano prove che l’attacco sarebbe stato davvero realizzato – continua la donna – se avessero temuto che Abu Omar stesse davvero per fare qualcosa, lo avrebbero fermato, no? Non era negli interessi italiani (sottovalutare) … La maggioranza degli studenti non era americana, ma italiana o di altre nazionalità. Tutto questo accadeva nel 2002, mentre l’imam fu rapito soltanto nel 2003. Dov’era l’imminenza del pericolo?”.

Nonostante tuti i dubbi la redention venne comunque effettuata. A nulla valsero le perplessità di Condoleeza Rice, che in un cable del 2002  ammetteva di essere preoccupata che gli agenti americani sarebbero potuti finire in carcere se fossero stati scoperti.

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