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“Qua un’offerta al Santo la fanno tutti”, patto tra le cosche di ‘ndrangheta: 12 arresti

“Qua un’offerta al Santo la fanno tutti quanti” diceva una delle vittime delle cosche di ‘ndrangheta citando i dialoghi del film “Il Camorrista” per spiegare il pagamento del pizzo. È quanto emerso da una inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che oggi ha portato all’arresto di 12 persone. Le cosche Piromalli e Molè avevano deciso di stabilire un patto di non belligeranza per spartirsi il territorio.
A cura di Antonio Palma
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I contrasti con agguati e omicidi stavano richiamando troppa attenzione da parte delle forze dell’ordine mettendo a repentaglio la loro stessa sopravvivenza, così le cosche di ‘ndrangheta Piromalli e Molè avevano deciso di stabilire un patto di non belligeranza per spartirsi il territorio, confermando il loro predominio nel settore delle estorsioni. È quanto emerge dall'operazione "Geolja” condotta dai carabinieri con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che oggi ha portato all’arresto di dodici persone tra Calabria e Lombardia ritenute legate alla cosca Piromalli. Il blitz è scattato all'alba tra Gioia Tauro e Milano dove i militari dell'arma hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dall'aggiunto Gaetano Paci.

Complessivamente sono 21 gli indagati dalla Dda. Per dieci di loro il Gip ha disposto il carcere, tra cui Girolamo Piromalli, detto "Mommino", e Salvatore Copelli, nipote del boss Giuseppe Piromalli detto "Facciazza". Per altri due sono scattati gli arresti domiciliari. Gli indagati devono rispondere a vario titolo ed in concorso tra loro dei reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso. Come spiegano gli inquirenti, dopo essersi indebolite per i contrasti determinati dall'omicidio del boss Rocco Molè e per gli arresti che in questi anni hanno colpito le due famiglie, i reggenti delle due cosche avevano stretto un accordo delineando nuovi equilibri criminali sul territorio

Le indagini dei carabinieri sono partite a seguito dell’inchiesta sull’incendio doloso di un panificio avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 agosto 2019. Secondo gli inquirenti, infatti, i titolari avevano subito sollecitato l'intervento dei boss di Rosarno, loro paese d'origine, per individuare i responsabili e risolvere la questione mediante la "messa a posto" col pagamento del pizzo. Dopo essere stati costretti a chiudere l'attività commerciale per diversi mesi, i due imprenditori hanno fatto richiesta di accesso a un fondo di solidarietà del Ministero dell'Interno per le aziende colpite da attentati dolosi e poi sono stati autorizzati dalla ‘ndrangheta a riaprire il panificio ma a determinate condizioni come l'imposizione di prezzi, orari e periodi di ferie, in modo da non danneggiare l'attività concorrente che era in mano alle cosche, ma anche con il pagamento del pizzo alla stessa cosca. "Pagano tutti, un'offerta al Santo la fanno tutti quanti! L'offerta al Padre Eterno! Come il film il professore vesuviano, ogni mese passerà da voi un santo, e ognuno avrà il proprio Santo" diceva una delle vittime intercettata, spiegando alla fidanzata come funzionano le cose a Gioia Tauro citando i dialoghi del film "Il Camorrista".

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