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Processo Borsellino quater, la Cassazione conferma le condanne. Il Pg: “Pagina vergognosa e tragica”

La Corte di Cassazione ha confermato le quattro condanne comminate nel processo Borsellino quater: la pena dell’ergastolo è stata inflitta ai due capomafia, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, mentre ai due falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta sono stati inflitti 10 anni e 9 anni e 6 mesi di carcere per il reato di calunnia.
A cura di Davide Falcioni
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La Corte di Cassazione ha confermato le quattro condanne comminate nel processo Borsellino quater: la pena dell'ergastolo è stata inflitta ai due capomafia, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, mentre ai due falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta sono stati inflitti 10 anni e 9 anni e 6 mesi di carcere per il reato di calunnia. ll depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio – che il 19 luglio 1992 costò la vita a Palermo al giudice Paolo Borsellino e ai cinque agenti della sua scorta -, con le falsità dichiarate dai finti pentiti, "è una mostruosa costruzione calunniatrice che secondo me è una delle pagine più vergognose e tragiche" della nostra storia giudiziaria ed è "di una gravità tale da escludere qualunque circostanza attenuante" in favore degli imputati. A dirlo il Pg della Cassazione, l’avvocato generale Pietro Gaeta, in un passaggio della sua requisitoria all’udienza svoltasi nell’aula magna della Suprema Corte.

La sentenza ha dunque rispettato le richieste dell'accusa, ad eccezione di uno sconto di 4 mesi per Andriotta, definito da Gaeta "la miccia di tutto". Rimane sullo sfondo, come ha spiegato il consigliere relatore Angelo Caputo, la mancata identificazione degli "inquirenti infedeli", gli uomini dello Stato responsabili "dell’indottrinamento" dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, uscito dal processo con la prescrizione in secondo grado a seguito dell’attenuante di aver raccontato falsità indotto da "suggeritori" esterni.

Come è nato il processo Borsellino quater

Il processo quater sulla strage di via D'Amelio è scaturito a seguito delle dichiarazioni del boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza, che nel 2008 ha confessato di aver rubato la Fiat 126 usata per l’attentato smentendo così definitivamente la versione di Scarantino e Salvatore Candura (condannato a 12 anni per calunnia con rito abbreviato), i criminali che si erano auto-accusati del furto, con dichiarazioni confermate da Andriotta e poi anche da Pulci. Nel 2009 Scarantino – intanto condannato a 18 anni – e Andriotta dichiararono ai magistrati di essere stati costretti da Arnaldo La Barbera – ex capo della squadra mobile di Palermo – e dai suoi collaboratori a confessare il falso con pressioni psicologiche, maltrattamenti e minacce.

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