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Più della metà dei centri Antiviolenza in Veneto rischierebbe di chiudere: “Serve confronto”

La nuova norma punta a portare i Centri a un servizio di reperibilità di 24 h su 24, ma i fondi non ci sono e metà di loro rischia ora di chiudere. A dirlo a Fanpage.it è Mariangela Zanni.
A cura di Elia Cavarzan
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Più della metà dei centri antiviolenza in Veneto è a rischio chiusura. A dirlo è Mariangela Zanni, portavoce coordinamento Iris dei Centri antiviolenza e Case rifugio del Veneto. Circa uno su due potrebbe chiudere i battenti. Ad aver agitato le acque, non solo in Veneto, ma anche in altre regioni d’Italia, è stata la Conferenza unificata Stato-Regioni dello scorso settembre 2022, che ha modificato i requisiti minimi con cui i centri antiviolenza dovranno fare i conti nei prossimi mesi.

Nella fattispecie si va a limitare il numero di enti e associazioni che possono gestire i centri antiviolenza – spiega Zanni – che adesso devono occuparsi prevalentemente di contrasto alla violenza, andando così a sanare una situazione che negli anni aveva visto l’apertura di centri e case rifugio che non possedevano i requisiti". Per poi aggiungere: "D’altra parte però si va a obbligare i centri a una reperibilità di 24 h su 24 h, con Forze dell’Ordine e Pronto Soccorso, nonché a imporre l’apertura dei Centri tutti i giorni della settimana, compresi i festivi. Il problema è che già adesso mancano i fondi per garantire l’apertura quotidiana tenendo aperto, a pieno regime, al mattino e al pomeriggio, in alternanza”.

Mariangela Zanni, Portavoce Coordinamento Iris dei Centri Antiviolenza e Case Rifugio del Veneto
Mariangela Zanni, Portavoce Coordinamento Iris dei Centri Antiviolenza e Case Rifugio del Veneto

In diversi centri antiviolenza veneti si inizia allora a pensare a delle strategie per salvare queste strutture, che nel territorio offrono un servizio di prima linea non indifferente: “Ogni anno nei centri del Veneto vengono accolte e seguite più di 3 mila donne, mentre all’assistenza telefonica ci troviamo ad affrontare circa il doppio del numero”, spiega ancora Zanni.

Una mazzata arrivata dall’alto, spiega. “I fondi per i centri non sono mai stati strutturali e non si è mai operato pensando a dei fondi adeguati al lavoro che svolgiamo che, di fatto, va a sopperire un’importante mancanza dello Stato”, sottolinea Zanni.

Chiediamo di riaprire un tavolo interlocutorio con le istituzioni al più presto, per valutare ogni possibilità di uscita da questa situazione – prosegue – non ci sono i fondi per la mera sopravvivenza, alcuni centri sono gestiti da volontarie, che per anni sono stati l’unico presidio per le donne nel territorio e il servizio che prestiamo, è un fondamentale raccordo tra le donne e le realtà, che nei territori, sono preposte ad intervenire quali Forze dell’Ordine, Pronto Soccorso e Servizi sociali e sociosanitari".

Questi centri offrono servizi come l’ascolto e l’accoglienza anche telefonica, la consulenza legale e psicologica. Ma anche  l’orientamento al lavoro, la consulenza specifica per donne immigrate, il supporto genitoriale. Sono solo alcune delle molteplici attività svolte all’interno dei Centri e che adesso sono in bilico.

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