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Perché si parla del falso scoop Corona-Messina Denaro, la storia dall’inizio alla fine

La ricostruzione dell’indagine relativa al furto di documenti investigativi su Messina Denaro che ha portato all’arresto di un carabiniere e di un consigliere comunale di Mazara del Vallo. Per gli inquirenti, gli indagati volevano vendere i file a Fabrizio Corona che era in cerca di scoop sulla latitanza del boss mafioso.
A cura di Antonio Palma
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Erano trascorse poche settimane dall'arresto del super latitante Matteo Messina Denaro e le indagini dei carabinieri e delle altre forze dell'ordine procedevano alla scoperta di covi segreti e fiancheggiatori del boss mafioso quando qualcuno avrebbe iniziato a raccogliere illegalmente alcuni dei documenti emersi delle indagini. Molta di questa documentazione mai utilizzata in procedimenti giudiziari e quindi coperta da segreto. Lo scopo, secondo gli inquirenti, era di vendere il tutto, alcuni mesi dopo, a Fabrizio Corona e poi, su indicazione di quest'ultimo, al giornalista Moreno Pisto. Parte da qui l'inchiesta che oggi ha portato a due arresti domiciliari: quelli del consigliere comunale di Mazara del Vallo Giorgio Randazzo e del maresciallo dei carabinieri Luigi Pirollo. Per gli inquirenti, infatti, sono questi ultimi due ad aver sottratto i documenti dal sistema informatico dell'Arma dei Carabinieri per rivenderli poi ai giornalisti in cerca di scoop sulla latitanza di Messina Denaro.

Il furto dei file nel sistema informatico della caserma dei Carabinieri di Campobello 

Secondo l'accusa, il militare, senza nessun motivo valido, tra il febbraio e il maggio scorsi, si sarebbe introdotto nel sistema informatico installato presso la caserma dei Carabinieri di Campobello di Mazara dove avrebbe consultato e poi copiato su hard disk esterni ben 768 files suddivisi in 14 cartelle. Documenti che poi avrebbe ceduto a Randazzo, con il quale aveva contatti di lunga data, e che a sua volta avrebbe cercato di venderli a Fabrizio Corona. Un contatto tra questi ultimi due che, secondo gli  inquirenti, sarebbe avvenuto in quanto "Corona era particolarmente attivo alla ricerca di "scoop" su Messina Denaro, da rivendere ai media".

"Uno scoop pazzesco" su Messina Denaro

Da quanto emerge dall'ordinanza del Gip, le prove dei contatti tra i due arriverebbero dalle intercettazioni eseguite nei confronti di Corona tra cui una del 2 maggio scorso in cui quest'ultimo fa espresso riferimento ad "uno scoop pazzesco" di cui era in possesso da un "consigliere regionale di Castelvetrano" grazie a non meglio specificati Carabinieri che avevano proceduto alla perquisizione dei covi del latitante e che avrebbero voluto "vendersi il materiale". Secondo il giornalista Moreno Pisto, direttore di Mowmag, il primo contatto tra Corona e il politico risalirebbe proprio a quel giorno quando Corona lo avrebbe chiamato per metterlo al corrente del fatto e farlo partecipare alla trattativa.

Nei contatti telefonici successivi fu organizzato un incontro. Stando al giornalista, al telefono avrebbero fatto riferimento a un'agenda di Matteo Messina Denaro e a informative su presunti ritardi nel perquisire covi dove si nascondeva il boss, ma alla prova dei fatti si sarebbero rivelate delle fake news. "Capisco che la questione della tardiva perquisizione non regge, è fake news. Che l'agenda di Matteo Messina Denaro in realtà non è di Matteo Messina Denaro" spiega il giornalista.

La presunta agenda di Messina Denaro

Come emerso dalle indagini degli inquirenti, oltre a centinaia di file di verbali di testimonianze raccolte dai carabinieri, uno dei documenti trafugati, denominato "agenda", conteneva effettivamente la scansione di una rubrica ma era quella di Andrea Bonafede, l'uomo che aveva dato il nome e la sua identità al boss. Un altro file invece dava conto di una notizia confidenziale su una presunta amante di Matteo Messina Denaro mentre un altro ancora, denominato "Intervento-Estrai", conteneva lo stralcio del piano d'azione che i Carabinieri del Ros avrebbero messo in pratica per coordinare le numerose perquisizioni nei presunti covi nelle ore immediatamente successive alla cattura di Messina Denaro.

Tutti file che lo stesso mese di maggio sarebbero poi finiti in un computer nella disponibilità di Moreno Pisto durante l'incontro faccia a faccia a Milano. Pisto, "in occasione del detto incontro, aveva inserito la pendrive contenente i files di cui il Randazzo era in possesso in un computer col dichiarato fine soltanto di visionare i files medesimi e, tuttavia, aveva approfittato di ciò per copiare l'intero contenuto della pendrive senza che il Randazzo se ne rendesse conto" scrive infatti il gip.

La denuncia alla polizia e le indagini

Nei giorni successivi la svolta, dopo aver visionato i file con calma, il giornalista si rivolge ai legali e poi alla polizia giudiziaria raccontando tutto. È il 25 maggio quando l'uomo, attraverso un altro giornalista, si mette in contatto con Ufficiali di polizia giudiziaria della Squadra Mobile di Palermo raccontando i fatti. I successivi accertamenti investigativi avrebbero confermato l'accaduto. Lo stesso Corona ha affermato di aver denunciato subito quando ha capito che era materiale rubato. "Noi facciamo il nostro lavoro, quando sono entrato in possesso di questo materiale ho contattato un mio collaboratore. Quando abbiamo capito che era materiale rubato abbiamo denunciato. E lo abbiamo fatto insieme" ha spiegato a Telelombardia.

"Le verifiche effettuate sul contenuto dei files della pendrive del Randazzo (copiati nel computer dal Pisto con le modalità di cui si è detto) comprovano da un lato la provenienza degli stessi dagli archivi informatici dei Carabinieri della Compagnia Carabinieri e della Stazione di Campobello di Mazara, e, dall'altro, la segretezza dei documenti medesimi" scrive il giudice che aggiunge: "Vi sono, poi, a definitivo riscontro, gli accertamenti effettuati sulla copia forense del personal computer in dotazione al Maresciallo Pirollo, che confermano la piena corrispondenza tra i files in possesso del Randazzo e quelli che il Pirollo aveva potuto copiare accedendo alla rete informatica del proprio ufficio".

Sui motivi del furto di documenti riservati, secondo il Gip è "poco verosimile che il Pirollo abbia elargito al Randazzo quei files per ragioni diverse da quelle della locupletazione economica con la quale non è incompatibile il movente in via ipotetica individuato dal Pubblico Ministero, quello di alimentare teorie "complottistiche" sulla cattura del latitante Messina Denaro, e ciò sia perché proprio eventuali retroscena nascosti di quella cattura rendevano più "appetibili" per i media quei documenti, sia perché esistevano ed esistono tuttora ragioni di legittimo approfondimento degli accadimenti connessi alla cattura del latitante".

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