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Ultime notizie sullo stupro di gruppo a Palermo

Perché riportare le parole della vittima e i profili degli accusati significa trasformare lo stupro di Palermo in uno show social

Prima c’è stata la gogna per gli aggressori, poi la ricerca del video della violenza su Telegram. L’ultimo capitolo di una morbosa ricerca di nuovi dettagli sono diventati i profili social della vittima: negli ultimi giorni hanno raggiunto migliaia di follower.
A cura di Valerio Berra
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I numeri sono esplosi. Nell’arco di una settimana i profili social della ragazza di 19 anni vittima di una violenza di gruppo a Palermo hanno raggiunto decine di migliaia di follower. È l’ultimo capitolo di una nuova forma completamente digitale di dark tourism, il turismo legato alla cronaca nera. Sullo stesso smartphone da cui si leggono le notizie poi si cercano i nomi dei protagonisti sui social. Si lascia un insulto sotto l’ultima foto dei carnefici, si manda l’emoji di un cuore alla vittima. Magari si ripostano anche i loro account, per permettere agli altri di trovarli in fretta.

Operazioni veloci, sempre uguali a loro stesse. Gesti che forse per qualche istante fanno sentire protagonisti della storia, un po’ investigatori, un po’ giudici e un po’ amici. Ma che non tengono in conto di un dato: un caso di cronaca non è uno show televisivo dove i protagonisti accettano di partecipare per ricevere attenzioni. La ragazza di Palermo è stata inondata da migliaia di messaggi da tutta Italia. Per la maggior parte sono di supporto ma qualcuno è riuscito anche a scrivere critiche cretine sotto i post in cui la ragazza ballava mente cantava canzoni trap. Anche qui è il solito adagio del “Eh ma te la sei cercata” adattata in tempi moderni.

L’ultimo capitolo di un pessimo spettacolo

L’esplosione degli account della vittima è però solo l’ultimo passaggio di una storia che fin dalle sue prime fasi ha mostrato i rischi peggiori dei social. Prima c’è stato il momento dei giudici da tastiera, che hanno cercato e pubblicato i volti degli aggressori chiedendo punizioni immediate. Poi quello dei morbosi che su Telegram hanno cercato il video della violenza, trovando al massimo qualche truffa.

Il dovere di proteggere la vittima, in ogni caso

La vittima di una violenza è prima di tutto una persona da difendere. In collegamento con il TGR Sicilia l’avvocato Guido Scorza, membro del Garante della Privacy, ha spiegato che la ricerca dell’identità della vittima, il desiderio di vedere il suo volto, di scriverle di cercare una nuova interazione è sempre un tipo di violenza: “Si sta violentando una seconda volta la vittima e la si sta violentando in una forma più persistente”.

Questa ragazza non ha mai chiesto attenzioni. E non possiamo decidere noi di dargliela. Questo vale per chi lavora nel mercato dell’informazione. Riprendere le parole della vittima non aiuta a proteggerla. Ma vale anche per gli utenti. Disseminare indizi e riferimenti, aumentare i suoi follower e commentare i video può solo far crescere la sua esposizione. Basterebbe lasciare che una vittima di violenza, soprattutto così giovane, affronti questo tempo con le persone con cui sceglie di farlo.

Il rischio è che il suo nome e il suo volto rimangano per sempre legati alla violenza che ha subito. Spiega sempre Scorza: “Esistono procedimenti attraverso i quali la vittima può rivendicare e ottenere anche di rimuovere dai i motori di ricerca certi contenuti. Ma dobbiamo essere franchi. Chi è protagonista è destinato a fare parte della memoria collettiva”. Senza nessun appello.

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Vengo dalla provincia di Milano e dagli anni '90. Questo non dice tutto di me, ma quasi. Ora Capo Area della redazione Tecnologia e Scienze a Fanpage.it, prima cronista a Settegiorni, studente alla Scuola Walter Tobagi, stagista a RaiNews24, collaboratore al Corriere della Sera e membro della prima redazione di Open. 
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