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Omicidio Chiara Gualzetti a Monteveglio

Perché gli adolescenti uccidono: il caso di Chiara Gualzetti e il lato oscuro del baby killer

Il lato oscuro degli adolescenti che uccidono torna periodicamente al centro della cronaca nazionale, destando clamore e sconcerto. L’ultima a pagare gli effetti di queste “adolescenze estreme” è stata Chiara Gualzetti, la 15enne scomparsa e trovata cadavere nel Bolognese. Ma che cosa alberga nella mente dei ragazzi che uccidono?
A cura di Anna Vagli
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Per Chiara Gualzetti il tempo nel mondo si fermato con una serie indefinita di coltellate e calci alle nove di una domenica mattina d’estate. Precisa, riservata e riflessiva. Vittima senza domani di un collettivo ormai privato di qualsiasi senso di progettualità. Conosciamo madri che si uccidono decidendo di portare con sé i figli. Conosciamo donne che, dopo aver congetturato piani diabolici, uccidono i loro mariti. Conosciamo uomini (la maggior parte) che tolgono la vita alle mogli e che qualche volta si suicidano. Quando un adolescente uccide, invece, lo schema è sempre lo stesso: lui ammazza lei e mai a parti inverse.

Nella mentalità corrente gli adolescenti che commettono un omicidio fanno parte di un contesto marginale, intriso di follia, violenza familiare e disattenzione dei genitori. In un’epoca ormai senza santi né eroi, i rapporti con le figure di riferimento sono labili, ambivalenti e strabordanti di tensioni. Sempre più spesso i genitori caricano i figli di aspettative, li vogliono all’altezza di una collettività che impone ritmi esasperati. È dura sentirsi falliti in una società “social” di vincenti. Ma che cosa è passato nella mente dell’amico di Chiara?

Quello che appare evidente è che nella società in cui viviamo, frantumata e priva di orizzonti, il baby femminicidio rappresenta l’ultima drammatica frontiera della violenza contro le donne. Ragazzine uccise non per mano di familiari, ma private della loro esistenza da fidanzati o aspiranti tali, amici o conoscenti che, nella maggior parte dei casi, non si rassegnano alla logica del rifiuto. Come se l’uso della violenza barbara fosse l’unica soluzione per sventrare la minaccia della perdita. Come se non si potesse contemplare la possibilità di fare i conti con le sconfitte. Come se la decisione improvvisa di chiudere una relazione o il rifiuto sessuale non lasciassero altra via se non quella dell’aggressività e della violenza. E proprio il rifiuto potrebbe aver determinato il ragazzo a togliere la vita a Chiara. Non è infatti credibile, come quest’ultimo ha dichiarato, che fosse Chiara a mostrare attenzioni nei suoi confronti. Semmai, è verosimile l’esatto contrario.

Se già le donne riscontrano difficoltà nel riconoscere i segnali di relazioni malate, le ragazze adolescenti non solo non hanno percezione dei rischi cui vanno incontro, ma l’affettività che connota il loro agire, le porta a mettersi in condizioni pericolose senza nemmeno accorgersene e a sviluppare un adattamento psicologico nei confronti della violenza. Per Chiara, il suo assassino, era soltanto un amico. Ma che cosa alberga nella mente dei baby-omicida? Nelle menti dei ragazzi che, pur di non confrontarsi con il rifiuto, minacciano, aggrediscono ed uccidono?

Il sedicenne di Monteveglio ha dichiarato di aver agito perché delle voci interiori lo hanno spinto a farlo. Ne è emerso che da tempo era in cura da una psicoterapeuta e, stando a prime indiscrezioni, questo dato unito alle sue dichiarazioni, starebbe orientando la Procura a chiedere la perizia psichiatrica. Sicuramente, l’eliminazione di Chiara era stata ben studiata nei dettagli e, quindi, premeditata. La sua decisione, confermando quanto emerge dalle statistiche, l’aveva covata da tempo. Ha prelevato un coltello dalla cucina, ha inferto un numero indefinito di coltellate sul corpo dell’amica, lo ha ripulito e riposto nel cassetto. Si è pure preoccupato di cancellare alcuni messaggi dalle chat di whatsapp, probabilmente per allontanare i sospetti su di sé e cercare di farla franca. Quando ad uccidere è un adolescente, nella maggior parte dei casi si tratta di un suicidio solo rimandato. Teenagers che uccidono perché ormai sono entrati nella logica della morte e la percepiscono come vicina. Delitti conseguenza di traumi evolutivi che virano improvvisamente e sfociano in un gesto folle. Gesti efferati che hanno come fondamento esclusivamente l’abyssos, il senza fondo. Delitti consumati per noia e senza logica alcuna.

Il problema è sicuramente culturale, negli adolescenti maschi ad un certo punto qualche cosa si rompe. Qualcosa che ha a che fare con il possesso, l’impulso incontrollabile della prevaricazione e della virilità ferita. Appare squallido il tentativo di scomodare alibi per l’assassino di Chiara. Non c’è neanche una biografia di degrado alle sue spalle o di contesto sociale difficile. Come se tutto nella sua testa da sedicenne fosse già compiuto, come se la povera Chiara non potesse più alleviare le sue sofferenze se non attraverso la morte. L’ha uccisa con la spietatezza di un killer navigato. L’ha lasciata ansimare in un bosco ed è tornato a casa cercando di cancellare ogni traccia del suo gesto. Siamo sicuri che lo strumento della perizia psichiatrica sia la soluzione? La violenza dimostra l’incapacità di gestire emozioni e i traumi maturati nelle fasi di strutturazione della personalità possono avere ripercussioni drammatiche. Che segnano per una vita.

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