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Peppino Impastato “il ribelle”, il giornalista che pagò con la vita le sue denunce contro la mafia

Sono trascorsi 43 anni da quando la mafia uccise Peppino Impastato, giornalista e militante politico siciliano che pagò con la vita le sue denunce pubbliche contro il malaffare di Cosa nostra. Le indagini sulla morte di Impastato furono subito depistate: “Si voleva far credere che Peppino fosse morto mentre stava maneggiando l’esplosivo” racconta Paolo Chirco, uno dei compagni storici del giornalista siciliano ucciso dalla mafia. Ci sono voluti 23 anni perché Peppino venisse riconosciuto come vittima di mafia.
A cura di Francesco Cortese
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Peppino Impastato
Peppino Impastato

Il 9 maggio 1978 la mafia uccideva a Cinisi Peppino Impastato, giornalista e militante politico che denunciava pubblicamente i boss. Le indagini sulla sua morte furono archiviate per ben due volte. Solamente nel 2002 si arrivò a condannare all'ergastolo, come mandante dell'omicidio, il boss don Tano Badalamenti.

Sono trascorsi 43 anni da quando la mafia uccise Peppino Impastato, giornalista e militante politico siciliano che pagò con la vita le sue denunce pubbliche contro il malaffare di Cosa nostra. Peppino era nato in una famiglia mafiosa di Cinisi, un piccolo paese alle porte di Palermo. Lo zio, Cesare Manzella, ne era il capomafia.

Nonostante tutto, Peppino "il ribelle" decise fin da subito di andare controcorrente non seguire le orme della famiglia. Fondò Radio Aut, un'emittente radiofonica dalla quale trasmetteva quotidianamente denunciando affari sporchi e deridendo don Tano Badalamenti, il boss di Cinisi che ne decretò la sua morte.

Cinque giorni prima di essere ucciso, Peppino Impastato aveva tenuto il suo ultimo comizio pubblico. Si era candidato come consigliere comunale nelle liste di Democrazia proletaria. La sue elezione avvenne ugualmente, nonostante qualche giorno prima, il 9 maggio '78, la mafia lo avesse fatto saltare in aria sui binari della ferrovia di Cinisi. I suoi resti furono trovati il giorno dopo dai suoi amici. Erano sparsi per 300 metri.

Ci sono voluti 23 anni perché Peppino venisse riconosciuto come vittima di mafia, nell'indifferenza di un paese che non parlava, non vedeva, non sentiva. Erano in pochi a denunciare gli interessi della mafia di Cinisi alla fine degli anni Settanta: le infiltrazioni per la costruzione dell'aeroporto di Palermo, le speculazioni edilizie, il traffico di droga con i cugini d'America.

Le indagini sulla morte di Impastato furono subito depistate: "Si voleva far credere che Peppino fosse morto mentre stava maneggiando l'esplosivo" racconta Paolo Chirco, uno dei compagni storici del giornalista siciliano ucciso dalla mafia.

Per ben due volte, nel 1984 e nel 1992, le indagini sulla morte di Peppino Impastato furono archiviate. Solamente nel 1995, grazie alla determinazione della madre di Peppino, Felicia Bartolotta, si aprì un nuovo processo nel quale il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti fu condannato per aver commissionato l'omicidio di Peppino Impastato.

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