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Omicron è meno pericolosa delle altre varianti?

Se sulla maggiore contagiosità di Omicron non ci sono quasi più dubbi, nell’analisi di oggi cercheremo di rispondere alla domanda più importante in questo momento: Omicron è più o meno pericolosa delle precedenti varianti? Ecco cosa ci dicono i dati.
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A cura di Giorgio Sestili
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Siamo al secondo appuntamento settimanale sui nostri approfondimenti su Omicron, elaborati grazie ai dati raccolti a livello mondiale e che stanno permettendo alla scienza di fare notevoli passi in avanti verso la piena comprensione della nuova variante, che ha battuto ogni record di contagi nel mondo. La scorsa settimana abbiamo parlato delle sue caratteristiche genetiche e di una particolare mutazione della proteina Spike, detta inserimento, principale indiziata come causa di maggiore diffusività di Omicron rispetto alle varianti precedenti. Abbiamo poi analizzato i primi dati provenienti dalla Gran Bretagna (UK) sull’efficacia dei vaccini di Astrazeneca e Pfizer nel prevenire il contagio di Omicron, e abbiamo visto come la differenza rispetto al contagio da Delta sia notevole, anche se con la terza dose booster il livello di protezione torna ad essere buono.

Nell’analisi di oggi cercheremo invece di rispondere alla domanda più importante in questo momento: Omicron è più o meno pericolosa delle precedenti varianti? Vediamo cosa ci dicono i dati raccolti fino a oggi.

Omicron sta abbattendo ogni record

Sulla maggiore contagiosità di Omicron ormai non ci sono dubbi, basta guardare ai contagi nel mondo (Grafico 1): oltre un milione e mezzo negli ultimi giorni (con trend ancora in forte crescita), dato mai raggiunto nelle precedenti ondate che si erano invece fermate intorno al picco di circa 800mila casi.

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Al balzo in alto dei casi però, al momento non sembra corrispondere un’impennata di decessi, ancora in diminuzione a livello globale. Dal Grafico 2 si vede infatti che la media mobile settimanale dei casi a livello mondiale (linea arancione) è ancora in fase discendente. Attenzione però, perché probabilmente è ancora presto per misurare l’effetto di questa nuova ondata di contagi sui decessi, che in genere “reagiscono” a distanza di un mese circa dal momento del contagio. Staremo a vedere, ma una cosa è certa: se l’andamento dei decessi a livello mondiale è in discesa da inizio 2021 (con ondate che hanno registrato risalite senza però mai aver raggiunto il picco di fine gennaio 2021) è solo grazie ai vaccini e alla loro efficacia contro la malattia grave. Questo dato è incontrovertibile.

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L’andamento dei contagi in Italia non si discosta di molto da quello mondiale. Nell’ultima settimana abbiamo registrato 382mila casi positivi, un aumento del 101% rispetto ai sette giorni precedenti, che indica un tempo di raddoppio di una settimana (in diminuzione). Il dato degli ultimi giorni, di circa 100 mila casi giornalieri, ha frantumato il record di circa 35 mila casi della seconda ondata dell’autunno 2020 (Grafico 3).

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In Italia non c’è più una Regione con un’incidenza settimanale inferiore ai 50 casi ogni 100 mila abitanti, soglia critica oltre la quale diventa impossibile fare tracciamento. E l’altra soglia critica ampiamente superata da tempo è quella relativa al tasso di positività, al 19% se si guarda ai soli tamponi molecolari, superiore al 5% con i rapidi, ma comunque oltre il 3% che permetterebbe di fare contact tracing. Ora vi starete chiedendo perché al di sopra di queste soglie il tracciamento dei casi non è più possibile. Per rispondere, tutta la letteratura scientifica di riferimento è contenuta in questo straordinario articolo di Tomas Pueyo.

Si registra purtroppo una diminuzione nella somministrazione dei vaccini, forse dovuta alle festività o forse strutturale, lo vedremo nelle prossime settimane. Negli ultimi sette giorni sono state somministrate 238 mila prime dosi (-20% rispetto alla settimana prima), 155 mila seconde dosi (-6%) e 2,4 milioni di terze dosi (-27%).

Buone notizie dai dati delle ospedalizzazioni in Danimarca

Come avevamo anticipato la scorsa settimana, la Danimarca in questo momento è un vero e proprio caso studio a livello internazionale, con oltre 40mila casi Omicron sequenziati e analizzati all’interno di statistiche più ampie. Tra queste, quelle di maggiore interesse riguardano le ospedalizzazioni Covid-19 dovute a Omicron paragonate a quelle dovute ad altre varianti (Tabella 1).

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Come si vede dai numeri in tabella, gli ospedalizzati dovuti a Delta sono 1274 su 123mila casi totali, ovvero 1,03%. Quelli Omicron sono invece 210 su 39mila casi, lo 0,53%, la metà di quelli di Delta. Il numero di casi su cui si basa questa statistica è abbastanza ampio da renderla attendibile e il risultato non è inficiato, ad esempio, da una differenza significativa nell’età dei contagiati. Da questi dati sembra proprio che Omicron faccia meno male di Delta. Come mai?

La risposta può essere duplice e ce ne parla Francesco Luchetta, fisico e collaboratore del progetto di ricerca e divulgazione Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche, che con me collabora alla stesura di questi articoli per Fanpage.it: “Una prima ipotesi potrebbe essere dovuta al fatto che con Omicron, rispetto a Delta, si allarga la differenza tra l'efficacia dei vaccini nel prevenire forme gravi di malattia, e dunque le ospedalizzazioni, rispetto a quella nel prevenire il contagio. La seconda ipotesi è che Omicron sia meno pericolosa e porta a infezioni mediamente meno gravi di Delta”.

Non sappiamo ancora quale delle due ipotesi sia vera, ma in tutti i casi (anche quello in cui la verità si trovi nel mezzo), i dati danesi sono molto incoraggianti perché ci dicono che:

  • i vaccini continuano ad essere molto efficaci contro la malattia grave anche contro Omicron, oppure
  • la nuova variante è mediamente meno pericolosa delle precedenti, oppure
  • una via di mezzo tra le due.

Purtroppo però, nonostante questi buoni indizi, è presto per trarre conclusioni e non possiamo ancora escludere che Omicron sia comunque più pericolosa delle precedenti varianti vista la sua altissima contagiosità, che potrebbe in poco tempo riempire gli ospedali di tutto il mondo e paralizzare interi Paesi. Quello di cui abbiamo bisogno sono ulteriori dati che presto arriveranno, in particolare quelli sull’efficacia dei vaccini nel prevenire le ospedalizzazioni, che ancora non abbiamo ma che sono il punto determinante nella lotta a Omicron.

Nel frattempo, però, un altro buon indizio arriva dal Sud Africa.

Il doppio picco che sembra superato in Sud Africa

Il Sud Africa, ormai lo sappiamo, è il Paese dove Omicron è nata e in poco tempo è diventata dominante. Sarebbe quindi il caso studio per eccellenza se non fosse che abbiamo molti dubbi sui dati sudafricani, che vanno quindi letti sempre con molta attenzione, in aggiunta al fatto che il Sud Africa ha vaccinato molto meno di Europa e USA. I dati riportati nel Grafico 4 però sono importanti e sembrano attendibili, e ovviamente li verificheremo nelle prossime settimane. Essi riguardano la media settimanale dei casi positivi (linea verde) e dei decessi (linea nera) in Sud Africa. Come si vede, il picco dei casi positivi è molto alto e stretto ed è stato già abbondantemente superato da diverse settimane, con un andamento di veloce discesa verso il basso. Anche i decessi sembrano che abbiano da poco superato il picco e si apprestino a scendere. È solo un principio di discesa che andrà verificato, ma se così fosse, il dato più importante sarebbe che il picco di morti in Sud Africa dovuto a Omicron è decisamente più basso del numero di decessi registrati in precedenza e dovuti alle precedenti varianti.

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Si tratterebbe di un altro importante indizio che sposterebbe l’ago verso la seconda nostra ipotesi di prima, quella di una minore pericolosità di Omicron rispetto alla malattia grave, proprio perché il Sud Africa ha vaccinato pochissimo, solo il 31% della popolazione.

Anche in questo caso, lo ripetiamo, i dati vanno presi con le molle e soprattutto andranno verificati nelle prossime settimane, cosa che puntualmente faremo. Inoltre, le condizioni ambientali e demografiche in Sud Africa sono molto diverse da quelle italiane ed europee (lì è estate e l’età media della popolazione è molto più bassa), il che implica che lo scenario sudafricano, seppur verificato, non può automaticamente essere traslato in Europa.

In collaborazione con Francesco Luchetta.

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Fisico di formazione, comunicatore scientifico di professione. Mi occupo di scienza, tecnologia, innovazione, e aiuto a comunicarle bene. Fondatore del progetto "Coronavirus - Dati e Analisi Scientifiche". Tutto su di me su giorgiosestili.it
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