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La strage di Erba di Olindo e Rosa

Olindo Romano nei video dopo la strage di Erba: “Abbiamo dato fuoco alla casa per eliminare un maleficio”

Il racconto della strage di Erba da parte di Olindo Romano nei video inediti mostrati da Quarto Grado: “Per me è stata una cosa normalissima, come quando uno ammazza un coniglio. Perché abbiamo dato fuoco alla casa? Non per distruggere le prove ma per eliminare un maleficio”.
A cura di Ida Artiaco
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Olindo Romano.
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"Mia moglie pensava – io non ci credo molto a questa cosa – che gli avesse fatto qualche maleficio da parte di qualcuno. Allora l'unica cosa per distruggere tutto era il fuoco, bruciare. E allora abbiamo dato fuoco alla casa".

A parlare è Olindo Romano, condannato all'ergastolo in via definitiva insieme alla moglie Rosa Bazzi per la strage di Erba, in cui morirono quattro persone: Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. L'uomo racconta la sua versione dei fatti al consulente Massimo Picozzi il 24 febbraio 2007, un paio di mesi dopo gli omicidi.

Il tutto è stato ripreso dalle telecamere e alcuni estratti di quei video sono stati trasmessi venerdì scorso nel corso dell'ultima puntata di Quarto Grado su Rete4, alla vigilia della discussione – in programma il primo marzo – sull’istanza di revisione della sentenza con cui i coniugi sono stati condannati per la strage di Erba.

Azouz Marzouk nel 2006 perse suo figlio Youssef, di 2 anni, e sua moglie Raffaella Castagna: un delitto per il quale sono stati condannati all’ergastolo due coniugi, Olindo e Rosa Romano. Ma per Azouz, che ancora chiede giustizia, “sono solo dei poveretti che stanno pagando la loro ingenuità”.
Olindo Romano e Rosa Bazzi

In particolare, Olindo Romano ad un certo punto spiega perché lui e la moglie Rosa hanno appiccato il fuoco nella casa dei delitti. "Quella sera lì praticamente non ho avuto nessuna sensazione sinceramente, ma anche quando li ho uccisi non è che ho provato piacere o ho provato disgusto, perché per me è stata una cosa normalissima, come quando uno ammazza un coniglio. Poi abbiamo dato fuoco a tutto. Perché lo abbiamo fatto? Non per distruggere le prove. Avevamo i guanti, avevamo tutto, che prove dovevamo lasciare? Poi abbiamo buttato via tutti gli indumenti, armi del delitto non ne hanno trovate. Noi abbiamo bruciato la casa perché quella ragazza lì anni fa ci aveva detto che faceva parte di una setta e fin quando siamo arrivati lì, fino a due tre anni fa, mia moglie non aveva né mal di testa né niente, stava benissimo. Mia moglie pensava – io non ci credo molto a questa cosa – che gli avesse fatto qualche maleficio da parte di qualcuno. Allora l'unica cosa per distruggere tutto era il fuoco, bruciare. E allora abbiamo dato fuoco. Solo per quello".

Poi dopo hanno raccolto le loro cose, sono scesi nella lavanderia e sono fuggiti. Racconta sempre Olindo Romano a Picozzi: "Finito il tutto siamo scesi tranquillamente, siamo andati in lavanderia, ci siamo cambiati perché in lavanderia c'avevo anche l'armadio. Tutta la roba sporca di sangue no, dicono che va in giro tanto sangue ma non è mica vero perché io di sangue ne avevo un goccino qui sopra (indicando il naso, ndr) e un po' sui pantaloni e sui guanti. Abbiamo preso e abbiam messo tutto nel sacco della pattumiera, e siamo andati a Como. Poi intanto che stavamo andando a Como abbiamo visto che avevamo le mani un po' sporche di sangue perché non avevamo i guanti di plastica, avevamo dei guanti tipo lana. Dovevamo lavarci le mani, così siamo andati su, dove c'è il confine con Erba – Erba Longone, siamo andati su al lavatoio, ci siamo lavati poi abbiamo preso il sacco di vestiti che era grosso e l'abbiamo diviso in tre: uno l'abbiamo buttato subito nel cassonetto che c'era fuori al cimitero, un altro ad Albavilla e un altro a Lipomo".

A quel punto, ha concluso Olindo, "siamo andati belli tranquilli a Como, ci siamo guardati le nostre vetrine, siamo andati a mangiare al Mc Donald's, siamo tornati indietro e siamo andati a casa. L'unica cosa che ho cercato di fare è cercare di controllarmi un pochettino, non perché ero nervoso ma per quello che dicevo. Perché i carabinieri conoscendo le liti che avevamo fatto e che c'erano sempre state ci si sono puntati subito addosso, soprattutto il maresciallo Gallorini. Allora dovevo stare attento a come parlavo con lui. Tutto lì. Non è abbiamo parlato tra di noi più di tanto perché eravamo convinti di aver ucciso tutti, basta, eravamo a posto. Poi invece quando siamo andati su abbiamo saputo che ce ne era uno rimasto ferito gravemente. Allora ho detto a mia moglie: Speriamo che muoia anche questo. Invece non è morto e siamo qua".

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