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La morte di Manuela Murgia

Nuova svolta nel caso di Manuela Murgia: trovato Dna maschile sui vestiti della 16enne uccisa nel ’95

Gli accertamenti sui vestiti di Manuela Murgia, la 16enne trovata morta nel 1995 a Cagliari, hanno rilevato Dna maschile su jeans, giubbotto e intimo. L’ex fidanzato, oggi 54enne, è l’unico indagato. La scoperta apre una nuova svolta nell’inchiesta dopo 30 anni di attesa.
A cura di Biagio Chiariello
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Un nuovo, importante capitolo si apre nel caso di Manuela Murgia, la ragazza cagliaritana di 16 anni trovata morta il 5 febbraio 1995 nel canyon della necropoli di Tuvixeddu, a Cagliari. All’epoca la vicenda fu rapidamente archiviata come suicidio, ma i dubbi della famiglia non si sono mai spenti e, dopo quasi trent’anni, la riapertura dell’inchiesta ha portato a scoperte che potrebbero riscrivere la verità su quella tragica notte.

Già a luglio era emersa una prima, significativa svolta: sugli abiti che Manuela indossava il giorno della morte sono state rilevate tracce di sangue e materiale biologico. Un’analisi che si è rivelata decisiva, aprendo la strada a nuove indagini scientifiche. Ora, dagli accertamenti effettuati dai consulenti nominati dalle parti, arrivano conferme ancora più inquietanti: il Dna maschile è presente su diversi indumenti della giovane, inclusi jeans, giubbotto, slip e reggiseno.

In tutto sono stati prelevati circa ottanta campioni, e in una parte consistente di essi è stato isolato materiale genetico attribuibile a un uomo. Non si tratta di un dettaglio marginale: la presenza di Dna maschile in punti così sensibili e sugli indumenti intimi della ragazza sembra rendere sempre più fragile l’ipotesi del suicidio. Per il momento gli esperti sottolineano la necessità di procedere con ulteriori verifiche, perché i campioni dovranno essere amplificati e tipizzati in maniera più precisa. Ma l’indirizzo delle indagini appare ormai chiaro.

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Al centro dell’inchiesta rimane Enrico Astero, l’allora fidanzato di Manuela, oggi 54enne. Il suo nome è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario: una svolta arrivata già a maggio, quando la Procura decise di riaprire ufficialmente il fascicolo e di disporre nuovi accertamenti. Ora, con i risultati delle analisi biologiche, il quadro si complica ulteriormente.

Il giudice per le indagini preliminari, Giorgio Altieri, ha incaricato i carabinieri del Ris di approfondire non solo le tracce di Dna, ma anche gli aspetti dattiloscopici e merceologici dei vestiti, in modo da escludere eventuali contaminazioni e arrivare a comparazioni affidabili. Il passo successivo sarà confrontare i profili genetici ottenuti con quelli contenuti nella banca dati nazionale e con quello dello stesso indagato, che non è ancora stato prelevato.

A coordinare le indagini ci sono consulenti di primo piano: l’ex generale del Ris di Parma Luciano Garofano per la difesa dell’indagato ed Emiliano Giardina per la parte civile. Entrambi hanno confermato il rinvenimento di tracce biologiche maschili sugli indumenti della ragazza.

La famiglia Murgia, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio, guarda con speranza a queste nuove rivelazioni. “Siamo molto soddisfatti – ha dichiarato l’avvocata Giulia Lai, che rappresenta i familiari – ora attendiamo la conclusione degli accertamenti”. Parole che restituiscono il senso di una lunga battaglia per la verità, iniziata quasi trent’anni fa e mai interrotta.

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