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Covid 19

“Non ho potuto fare neanche il funerale a mio padre”: la zona rossa al tempo del coronavirus

“La cosa più dolorosa? Non potere fare il funerale a mio padre. È stato male, sono venuti a prenderlo con un’ambulanza, sono passati solo 4 giorni ed è morto. Il funerale, se davvero possiamo chiamarlo così, è stato rapidissimo e vuoto, con pochissima gente. Due parole del parroco e poi subito la tumulazione”. Ma avete potuto vederlo? “No. Solo da morto”.
A cura di Giulio Cavalli
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«La cosa più dolorosa? Non potere fare il funerale a mio padre. È stato male, sono venuti a prenderlo con un'ambulanza, sono passati solo 4 giorni ed è morto. Il funerale, se davvero possiamo chiamarlo così, è stato rapidissimo e vuoto, con pochissima gente. Due parole del parroco e poi subito la tumulazione». Ma avete potuto vederlo? «No. Solo da morto».

A raccontarmi la storia è Ambra che sta nella prima zona rossa, quella che attraversa il lodigiano e che entra nei giornali per gli scaffali che si svuotano e per la carestia di Amuchina. Eppure nella zona rossa si muore, anche, come si muore in tutta Italia. E la morte ai tempi del Coronavirus è una morte che aggiunge dolore al dolore, se possibile, e risuona come un tonfo dentro una solitudine di lattice. Morire in questi tempi di virus significa passare i propri ultimi giorni soli, isolati e soli, con l'ultimo saluto a cui siamo abituati che sbatte contro i teli della terapia intensiva e sbrodola su guanti e mascherine. È una morte senza nessun contatto fisico, un ritiro forzato nel cimitero delle balene, una fine che si consuma tra lo sfregamento di gomma e plastica, nelle parole che rimangono spente dentro il tessuto delle mascherine, in mezzo ai bio di qualche macchina che urgentemente servirà già per il paziente successivo.

Il Coronavirus ci sta imponendo la morte dei nostri cari senza saluto, come se fosse una dipartita di notte tumultuosa e clandestina, senza lo sguardo che ci si dà per ringraziarsi di tutto quello che è stato e senza quella parola che sta lì in gola pronta a essere detta che era tutta la vita che avresti voluto dirla. In giro c'è anche il virus del rimpianto: il rimpianto di credere che dopo così tanta vita così tanto insieme in fondo sia davvero ingiusto che ci si lasci con una liturgia stanca, frettolosa e burocratica.

C'è un dolore di cui varrebbe la pena tenere conto, è quello di Ambra e delle tante persone come lei a cui viene strappato il diritto a quell'ultimo ciao che contiene tutto. È una morte buia, questa ai tempi del Coronavirus, ed il buio a rimanere tutto intorno. Forse varrebbe la pena pensarci, anche a loro.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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