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No, le donne non si dividono tra le morte e quelle che denunciano

Questa volta il famoso social manager di Taffo prende una cantonata: dividere le donne tra morte e denuncianti non rispetta assolutamente la realtà. I dati ci dicono che denunciare non garantisce protezione e soprattutto che denunciare in un Paese che ritiene quasi “normali” le violenze domestiche è un’impresa difficile.
A cura di Giulio Cavalli
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Il social manager dell'agenzia funebre Taffo, molto popolare sul web per le sue freddure legate spesso ai fatti di cronaca, oggi decide di celebrare la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne con un discusso post che mostra una bara e la frase "ci sono due tipi di donne" alludendo al fatto che solo quelle che denunciano riescano a salvarsi e che chi non denuncia invece troppo spesso deve fare i conti con la morte. Il post, inevitabilmente, ha acceso una lunga serie di commenti pro e a favore. È la natura dei social, del resto.

Eppure nell'iperbole (l'azienda ha definito così il post, rispondendo alle lamentele di alcuni utenti) manca sostanzialmente, ancora una volta, l'elemento fondamentale di ogni femminicidio, quello che si continua a mantenere tenue o addirittura a omettere come se non fosse il responsabile (anche giuridico) del delitto: l'uomo, l'assassino. Le donne non muoiono da sole: c'è un esercito di uomini (spesso mariti, compagni o amanti) che impugnano un'arma e decidono di eliminarle.

Ma non solo: Ana Maria Lacramioara Di Piazza, uccisa venerdì mattina a Partinico, non ha denunciato semplicemente perché credeva di essere con l'uomo che l'amava (e che lei sicuramente amava) e gli stava comunicando di aspettare un figlio da lui. Avrebbe potuto denunciarlo solo nell'attimo prima che la lama del coltello le passasse sopra la gola e per questo viene piuttosto difficile includerla nelle donne "colpevoli di non avere denunciato". Oppure c'è Immacolata Villani, uccisa un anno fa a Terzigno, che aveva denunciato quello stesso marito che l'ha uccisa con un colpo di pistola davanti alla scuola della figlia. Aveva denunciato. non stata protetta. E di donne che hanno denunciato e sono state lasciate sole e mandate a morire ce ne sono tantissime. Così come sono innumerevoli i casi in cui le forze dell'ordine, di fronte a una donna che era lì proprio per denunciare, l'hanno invitata a considerare le violenze come normali accadimenti domestici e l'hanno invitata a tornare a casa.

Poi c'è il punto che è il nocciolo sostanziale della questione: denunciare in un Paese che insiste ancora sulla colpevolizzazione delle vittime è un'impresa ardua dal punto di vista giuridico e dal punto di vista culturale. I dati dicono che per il 23,9% degli italiani la causa delle violenze delle donne è il loro modo di vestire: in sostanza un italiano su quattro trova normale che si usi violenza su una donna considerata discinta. Non male, eh? Il 15% degli italiani pensa anche che una donna ubriaca o sotto effetto di droghe sia in parte colpevole di un'eventuale violenza subita. Il 13% ritiene accettabili degli schiaffi in un rapporto di coppia.

Quelle che sono morte sono quelle che hanno denunciato e non le hanno ascoltate, che non avevano la forza di denunciare e nessuno gliel'ha data, che non hanno i soldi per andarsene chissà dove senza nessun posto dove andare e magari hanno intorno gente che gli dice che è giusto così, di sopportare.

Allora la domanda sorge spontanea: se voi aveste a disposizione lo spazio di un tweet veramente dividereste le donne tra morte e denuncianti? No, non credo. Questa volta Taffo non è stato nemmeno simpatico.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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