Naufragio di migranti al largo Libia, Alarm Phone: “116 morti, un superstite. L’Italia non ha risposto”

Nuova tragedia nel Mar Mediterraneo: 116 persone sono morte a causa di un naufragio avvenuto al largo della Libia. Lo afferma Alarm Phone, la rete civile che riceve richieste di soccorso dalle barche in difficoltà, che alcuni giorni fa aveva lanciato l'allarme segnalando la presenza di un barcone alla deriva di cui si erano perse le tracce e che a bordo trasportava 117 migranti partiti da Zuwarah la sera del 18 dicembre. L'unico sopravvissuto è stato salvato da un pescatore tunisino. "Contro il silenzio e l'indifferenza delle autorità, esigiamo risposte. Le famiglie che cercano i loro cari scomparsi hanno diritto alla verità", afferma l'organizzazione umanitaria. I migranti erano partiti giovedì scorso, e lunedì erano stati cercati con il velivolo Seabird di Sea Watch. "Oggi Alarm_phone conferma il naufragio, avvenuto poco dopo la partenza", afferma l'Ong tedesca.
Secondo quanto riferito dall’organizzazione umanitaria, l’allarme è scattato nel primo pomeriggio di venerdì scorso. "Alle 14:00 CET del 19 dicembre Alarm Phone è stata informata di una barca partita da Zuwara la sera del 18 dicembre, con a bordo 117 persone". La partenza, precisano, sarebbe avvenuta "intorno alle 20:00 ora locale".
Da quel momento sono iniziati i tentativi di contatto con l’imbarcazione. "Abbiamo provato ripetutamente a raggiungere la barca tramite telefono satellitare, senza successo". Nonostante l’assenza di una posizione GPS, Alarm Phone aveva comunque avvertito "le guardie costiere competenti e le ONG". Il silenzio è proseguito per tutta la giornata. "Per l’intero giorno abbiamo continuato a tentare di contattare la barca via telefono satellitare, ancora senza esito". Anche i contatti con le autorità non hanno prodotto risultati. "Quando abbiamo chiamato la Guardia Costiera italiana, ci è stato confermato che avevano ricevuto la nostra email, ma la chiamata è stata immediatamente interrotta, senza fornire ulteriori informazioni o rassicurazioni".
Dal lato libico, la risposta è stata netta ma priva di riscontri. "La cosiddetta Guardia Costiera libica ci ha detto telefonicamente di non aver né soccorso né intercettato alcuna imbarcazione il 18 o il 19 dicembre". La svolta è arrivata solo due giorni dopo, la sera del 21 dicembre, con una notizia drammatica. "Abbiamo ricevuto informazioni secondo cui pescatori tunisini avrebbero trovato un unico sopravvissuto su una barca di legno". L’uomo avrebbe raccontato "di essere partito da Zuwara due giorni prima" e "di essere l’unico superstite".
Il racconto è frammentario, anche per le condizioni fisiche. "Secondo la sua testimonianza, poche ore dopo la partenza il meteo è peggiorato drasticamente, con venti fino a 40 km/h". Alarm Phone precisa però che "era estremamente debole e non siamo riusciti a ottenere un resoconto dettagliato di quanto accaduto". Il sopravvissuto sarebbe stato "trasferito in ospedale in Tunisia dai pescatori".
L’organizzazione sottolinea che queste informazioni "non sono ancora state completamente confermate". I tentativi di ricostruire quanto accaduto restano finora senza esito: "Abbiamo provato a stabilire un contatto diretto sia con il sopravvissuto sia con i pescatori che lo hanno soccorso, per capire meglio cosa sia successo e dove sia avvenuto il naufragio, ma senza successo".
Nei giorni successivi, Alarm Phone ha intensificato i contatti con le autorità tunisine. "Il 21 e il 22 dicembre abbiamo chiamato innumerevoli volte la Guardia Costiera tunisina, prima per sollecitare l’invio di mezzi di ricerca e soccorso, poi per chiedere aggiornamenti". Anche in questo caso, la risposta è stata negativa: "Sia la Guardia Costiera libica sia quella tunisina ci hanno ripetutamente detto di non aver fatto sbarcare nessuno in quei giorni".
Alle giustificazioni operative si sono aggiunte quelle meteorologiche. "Ci è stato detto che il meteo, in particolare nella notte tra il 18 e il 19 dicembre, era così cattivo da rendere ‘impossibile’ uscire in mare". Un dato che, secondo Alarm Phone, non può giustificare l’assenza di interventi successivi. Anche perché, viene sottolineato, "tra il 18 e il 21 dicembre nessuna barca dalla Libia è arrivata a Lampedusa".
Nemmeno le ONG presenti nell’area sono riuscite a individuare tracce dell’imbarcazione. Sea-Watch 5 e ResQPeople "non hanno potuto cercare la barca", mentre il 22 dicembre "il Seabird 3 di Sea-Watch ha effettuato una ricerca aerea nell’area del presunto naufragio, senza trovare né sopravvissuti né segni visibili".
Resta aperto anche il ruolo di Frontex. "L’aereo Osprey 4 ha sorvolato l’area il 20 dicembre, due volte il 21 e ancora il 22 dicembre". Ma, denuncia Alarm Phone, "non sappiamo se Frontex abbia rilevato qualcosa legato a questa barca". Nel frattempo, anche la società civile tunisina ha cercato di rintracciare il possibile sopravvissuto. "Hanno lavorato instancabilmente, ma tutte le istituzioni sono rimaste in silenzio".
Da qui le domande rivolte alle autorità europee e nordafricane: "Che cosa ha visto Frontex e perché queste informazioni non sono pubbliche? Perché non sono state avviate operazioni di ricerca e soccorso una volta che la barca è scomparsa? Che fine ha fatto il possibile sopravvissuto?". L’organizzazione ricorda che "in passato abbiamo già documentato casi in cui i sopravvissuti ai naufragi sono stati deportati nel deserto senza nemmeno essere portati in ospedale". "Continuiamo a cercare informazioni e speriamo non sia vero che ci sia un solo sopravvissuto", conclude Alarm Phone, esprimendo "solidarietà a tutte le famiglie che stanno cercando una persona cara"
Infine l’accusa politica: "Questo naufragio, come tanti altri, non è un incidente. È il risultato di una deliberata omissione di soccorso". Un atto d’accusa contro il regime europeo delle frontiere, le cui politiche di "deterrenza, abbandono e criminalizzazione della migrazione", conclude Alarm Phone, "producono sistematicamente morte in mare".
Cei: "Con che coraggio possiamo difendere i confini prima che difendere le persone?"
Sulla tragedia nel Mediterraneo è intervenuto anche il presidente della Commissione Cei che si occupa di immigrati nonché presidente della fondazione Cei Migrantes: "Con che coraggio possiamo difendere i confini prima che difendere le persone? Perché non allarghiamo il presidio in mare per salvare le persone, con una collaborazione tra Europa e società civile? Sono domande che in queste ore sono insanguinate dalla morte di uomini, donne, bambini, che ipotecano il nostro futuro, il futuro della nostra Democrazia". "Ancora un naufragio, alla vigilia di Natale. La storia della famiglia di Nazareth non accolta, costretta a fuggire in Egitto per sfuggire alle violenze di Erode si ripete nel cammino di milioni di persone profughe e rifugiate. Per queste, contrariamente alla famiglia di Nazareth, – dice monsignor Perego – l'esito non è la salvezza, ma la violenza prima nei campi libici e poi la morte nel Mediterraneo". "I 116 morti al largo della Libia in queste ore si aggiungono ai 1700 morti quest'anno nel Mediterraneo", denuncia l'esponente della Cei che ribadisce: "Con che coraggio possiamo difendere i confini prima che difendere le persone?".