Micaela Coletti, sopravvissuta al disastro del Vajont: “Travolta dal fango, persi quasi tutta la mia famiglia”

"Mi stavo addormentato e sentii un rumore, come un tuono fortissimo. Mia nonna entrò in camera e mi disse: ‘Aspetta che chiudo le imposte, sta arrivando il temporale'. Sono state le sue ultime parole".
Così Micaela Coletti, presidente del Comitato sopravvissuti Vajont, inizia a raccontare a Fanpage.it l'evento che ha sconvolto per sempre la sua vita. La sera del 9 ottobre 1963, quando lei aveva soltanto 12 anni, una gigantesca frana si staccò dal Monte Toc e precipitò nel bacino artificiale della diga del Vajont.
Il distacco provocò un’enorme onda che superò la diga e si abbatté con violenza sulla valle sottostante distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi. Vi furono quasi 2mila vittime, Micaela perse padre, madre, nonna e una sorella di 14 anni.

Micaela, cosa ricorda di quella notte?
La diga era l'orgoglio di Longarone, mio papà lavorava lì. Mia mamma invece lavorava nel più grande albergo del paese. Ricordo che in casa da qualche tempo si parlava sottovoce, eravamo cinque figli ancora piccoli (la più grande aveva 16 anni), e si diceva che qualcosa non funzionava nella diga, c'era una aria strana.
Mio padre era preoccupato, si chiedeva se fosse vero che la diga fosse pericolosa. Ma erano i classici discorsi che da bambino non capisci fino in fondo. Quella sera io dormivo nella stanza con i miei genitori e mio fratello, che allora aveva 6 anni. Mi stavo addormentando e sentii un rumore, come un tuono fortissimo.
Mancò la luce. Mia nonna entrò in camera e mi disse: ‘Aspetta che chiudo le imposte, sta arrivando il temporale'. Sono state le ultime parole che ho sentito da una delle persone adulte di casa mia.
In quel momento ho avuto la sensazione che il letto si spostasse, avevo le mani lungo il corpo, cercavo con grande fatica di alzarle, di toccarmi il viso perché sentivo che c'era qualcosa che non andava. Ho avuto la sensazione di non avere più gli occhi, non so perché. Appena sono riuscita a toccarli, sono svenuta.

E poi che cosa è accaduto?
A un certo punto, ho sentito qualcuno che mi toccava una mano e che mi dava uno strattone. Sono stata tirata fuori dal fango e ho visto la luna. Ho sentito qualcuno dire: ‘Abbiamo trovato un'altra vecchia', e ricordo di aver risposto: ‘Ma ho solo 12 anni'.
Mi hanno tirato fuori e ho iniziato a urlare per i dolori. Ero quasi completamente sotto terra, avevo fuori solo un piede e una mano. Cercavo aria, hanno visto la mano che si muoveva, hanno scavato e mi hanno tirata fuori. Hanno fermato un signore che stava andando a Treviso in macchina, ma la strada non esisteva più.
Gli dissero di tornare indietro, di caricarmi sulla sua auto e di portarmi all'ospedale di Pieve di Cadore. Ricordo che in macchina c'erano due donne che mi guardarono con gli occhi sbarrati, una delle due mi chiese: ‘Ma che cosa è successo?'. Io risposi: ‘Acqua, acqua, tanta acqua', e dissi loro come mi chiamavo.
Arrivata all'ospedale anche lì pensarono che fossi una persona adulta, un infermiere mi chiese: ‘Signora, ma lei ha le mestruazioni?'. Io non sapevo cosa fossero ma risposi di sì, pensai che così mi avrebbe lasciato in pace, che mi sarei svegliata da quello che pensavo fosse un brutto sogno.

Il giorno dopo capì di essere in una stanza da sola, vedevo persone adulte vestite di scuro che infilavano la testa nella camera, mi guardavano e andavano via. Pensavo ancora che fosse un sogno, ma dopo 62 anni sto ancora sperando di svegliarmi.
Quali sono state le conseguenze di questo evento così traumatico?
Mi porto addosso tanti problemi. Non abbiamo avuto nessun tipo di aiuto, né psicologico né di altro tipo. Oggi ho la schiena ridotta malissimo per lo schiacciamento e soffro anche di fibromialgia. Eppure non si riesce davvero a imparare da queste vicende, non so perché.
Dopo quello che è accaduto avevo solo voglia di morire, sentivo di non avere nulla che mi trattenesse. Mi sono sentita sola come un cane e questo ti distrugge, avevo tanto dolore dentro ma non sapevo a chi rivolgermi.
Continuo a ricostruirmi una vita tutti i giorni, anche questo anniversario sarà una tragedia ma è la vita stessa che ti porta ad avere tanti problemi. Oggi vorrei avere una vita tranquilla. E invece soffro per delle stupidaggini, di notte se c'è un rumore strano mi sveglio, resto sveglia tante ore. Abolirei la notte, se potessi.

Siamo riusciti a ricominciare in qualche maniera e a un certo punto ho deciso di parlare non solo della diga e della frana, ma delle persone che sono rimaste. Quelle che sono morte non sentono più nulla, ma quelle che sono sopravvissute sono morte dentro. Perché bisogna avere il coraggio di raccontare questo, in tutte le tragedie chi resta, rimane da solo.
Purtroppo, a tanti non interessa. All'epoca non ho avuto modo di raccontare davvero come mi sono sentita e mi sento, di come si sta dopo aver perso i genitori e senza avere la possibilità di ritrovarli. Non ti senti di niente e nessuno, ti mancano le radici. E senza radici si fa fatica a vivere, a essere una persona "normale".
La vita, purtroppo, va per i fatti suoi, devi essere tu a corrergli dietro ma spesso non si riesce a correre con la stessa velocità. Dal mattino alla sera mi sono trovata senza nulla, per tanto tempo nessuno mi disse che i miei genitori non c'erano più. Per un lungo periodo sono stata convinta che mi avessero abbandonato, che non mi volessero più bene.

Cosa ricorda del suo passato e della sua famiglia?
Da piccola sognavo di diventare una maestra, sono sempre stata amante dei libri, o una parrucchiera. Ero innamorata del mio papà e mi manca tanto. Mi manca anche la mia mamma e mi dispiace di non averla potuta conoscere fino in fondo, era una donna forte.
Ho la speranza di somigliarle, come dice il mio compagno. La mia era una vita felice, avrei voluto vivere in quel posto bellissimo che era Longarone per sempre. Anche oggi sono qui, ma è una Longarone diversa, è un altro paese con un altro futuro e un passato, ma non fa più parte della mia vita.