
La coincidenza di date è disarmante: mentre Giorgia Meloni, nel giorno della viglia di Natale, parlava della "rivoluzione del presepe" con la statuetta di un pastorello in mano, invitandoci a farne il simbolo della nostra identità e a "non vergognarci mai di chi siamo, centosedici esseri umani morivano annegati nelle acque del canale di Sicilia.
È il peggior naufragio di migranti nel Mediterraneo centrale del 2025, e il fatto che avvenga alla vigilia di Natale suona quasi come un monito per tutti noi, che stiamo dalla parte giusta della linea che divide l’umanità tra benessere e disperazione. E che oggi festeggiamo il Natale mangiando e bevendo al caldo, scambiandoci i regali, godendo della pace e della serenità dei nostri affetti, del nostro benessere materiale che è incommensurabilmente più alto di quello di novanta essere umani su cento.
E magari, a fianco a noi, in un angolo della sala, c’è un un bambino di terracotta che nasce in una stalla, con un bue e un asinello di terracotta a riscaldarne il letto di paglia, con due genitori migranti di terracotta, a cui tutti hanno negato accoglienza e ospitalità, che lo vegliano. E dei poveri pastori di terracotta che decidono di porgere omaggio a questo bambino, ultimo più ultimo di loro.
Dov’è la nostra identità, in quel presepe?
Per caso, tra quelle statuette, c’è un centro di detenzione per migranti che fun-zio-ne-rà?
Ci sono le guardie che riportano dai loro torturatori quelli che scappano dalla disperazione?
C'è una guardia costiera che riceve la segnalazione di un naufragio in corso, ma decide di restare in silenzio e non intervenire?
No, non ci sono.
E non ci sono nemmeno milletrecento cadaveri in fondo al mare, come quelli di tutti i migranti morti nel 2025 cercando di sbarcare in Italia.
E nemmeno 27mila esseri umani intercettati e riportati nelle braccia dei loro aguzzini dalla guardia costiera libica pagata anche da noi.
Tutte queste cose non ci sono nel presepe. Ma sono tra noi, nella realtà, appena fuori dalla nostra porta.
Ed è tutta roba che fa parte della nostra identità e che ci ricorda chi siamo molto più di un pastorello di terracotta.
Un’identità, questa sì, che non dobbiamo dimenticare, ancora di più in giorno di festa come il Natale.
Ma di cui, purtroppo, ci dobbiamo vergognare parecchio.