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Matteo Vinci ucciso con una bomba perché non cedeva la propria terra, ergastolo ai mandanti

La famiglia Vinci non si era mai piegata alle richieste dei potenti vicini imparentati con la cosca di ‘ndrangheta di Limbadi. Per questo il biologo venne ucciso.
A cura di Antonio Palma
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Due Ergastoli per l’omicidio di Matteo Vinci, il biologo calabrese ucciso con una bomba piazzata nell'auto sulla quale viaggiava insieme al padre tre anni e mezzo fa. Si è concluso così il processo davanti alla Corte d'assise di Catanzaro per accertare i mandanti dell’efferato delitto avvenuto a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, il 9 aprile del 2018. Carcere a vita per Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara che, secondo l’accusa, sarebbero gli ideatori e mandanti dell’assassinio del 42enne e del tentato omicidio del padre Francesco Vinci che si salvò miracolosamente dall’esplosione ma riportò profonde ustioni. Per genitori di Matteo, che si sono costituiti parte civile nel processo, previsto un risarcimento di 150mila euro ciascuno.

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Come ricostruito dalle indagini, condotte dai carabinieri di Vibo e coordinate dalla Dda di Catanzaro, Matteo Vinci fu ucciso perché lui e la sua famiglia non volevano cedere la propria terra su cui i vicini, i Di Grillo- Mancuso, avevano messo gli occhi da tempo. Vicini potenti e imparentati con la cosca di ‘ndrangheta di Limbadi che non accettavano il no dei Vinci e che per lungo tempo li avrebbero quindi minacciati e perseguitati per anni fino ad arrivare a violentissimi atti di aggressione e alla bomba in auto proprio mentre padre e figlio tornavano dalla proprietà di campagna. Non a caso il Tribunale ha condannato a dieci anni di reclusione anche Domenico Di Grillo, 73 anni, marito di Rosaria Mancuso, per un tentato omicidio di Francesco Vinci attraverso un brutale pestaggio avvenuto l’anno precedente alla bomba.

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Secondo l’inchiesta della direzione distrettuale antimafia, le violenze però andavano avanti da molto tempo, con episodi di aggressione fisica che risalgono ad almeno sette anni fa. I Vinci però non si erano mai piegati alle richieste dei confinanti rivolgendosi anche alla giustizia civile e per questo, secondo l’accusa, venne ideato l’eclatante omicidio. Un assassinio messo in atto da altre due persone assoldate appositamente che ora sono imputate come esecutori del delitto. Per la giustizia però sarebbe esclusa l’aggravante mafiosa. “Diciamo che siamo moderatamente soddisfatti. Riguardo al fatto dell’aggravante mafiosa che la corte ha ritenuto non sussistente, noi siamo convinti che ci fosse e che tutt’ora agisce nelle vite di queste persone” ha dichiarato al Corriere della Calabria l’avvocato del famiglia Vinci.

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