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Covid 19

L’esperto Burgio: “Il lockdown non serve a uccidere il virus, serve per prepararsi”

Per Ernesto Brugio, pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare, il lockdown in Italia “è stato tardivo ma necessario altrimenti avremmo avuto una crescita esponenziale dei contagi, perché non serve a sconfiggere il virus quanto a rallentare la diffusione dell’infezione e a permettere al sistema sanitario di organizzarsi. Non potremo comunque abbassare la guardia per mesi”.
A cura di Ida Artiaco
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"Il lockdown in Italia come nel resto dell'Occidente è stato tardivo ma necessario altrimenti avremmo avuto una crescita esponenziale dei contagi". A parlare è Ernesto Burgio, pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare oltre che presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale. Nel corso di una intervista a Newsroom su Radio Capital, Burgio ha spiegato perché, al di là del dibattito su una possibile proroga o meno del periodo di confinamento, la decisione di bloccare il Paese per contrastare l'emergenza Covid-19 sia stata giusta. Ma attenzione: il lockdown non serve a sconfiggere il virus. Guai a pensare che dopo l'isolamento avremmo risolto il problema.

"Il lockdown serve a rallentare la diffusione dell'infezione e a permettere al sistema sanitario di organizzarsi – ha detto ancora Burgio -. Lo stiamo facendo nel modo completo? Dipende da quanto siamo in grado di rispondere ai punti stabiliti dall'Oms per passare alla fase 2. La trasmissione del contagio è controllata? I rischi di epidemia sono stati ridotti al minimo? La comunità è stata informata dei rischi e delle nuove norme? A me pare che tutto ciò non sia stato ancora messo a fuoco dalla nostra comunità di esperti e di politici. Quindi adesso non possiamo fare altro che seguire le indicazioni precise dell'Oms e aspettare". Aprile sarà da questo punto di vista un mese importante per capire quanto l'emergenza Coronavirus sia sotto controllo nel nostro Paese. "Dovremmo fare sicuramente test sierologici per controllare lo stato di immunità generale. Ma al momento possiamo dire che ci sono vari segnali positivi – ha sottolineato Burgio -.I dati dei contagi significano poco, dipendono molto dai tamponi effettuati. Il dato più attendibile resta quello dei decessi e una riduzione c'è. Ci sono anche meno ricoverati, meno ricoveri al pronto soccorso e meno degenti. Quindi la sensazione è che stiamo arrivando verso una normalizzazione progressiva. Ma di certo non potremo abbassare la guardia per mesi".

Per Burgio l'Italia, e in generale il mondo occidentale, sta scontando un ritardo con il quale si è approcciata alla pandemia a differenza dei paesi del Sud est asiatico. "L'allarme pandemico è stato dato forse più in ritardo, ma un pre-allarme lo abbiamo già da molti anni, quindi la preparazione per quello che poi è successo alcuni paesi l'hanno fatto e altri no. La grande differenza è stata sicuramente tra paesi come Cina, Giappone e Corea e il resto del mondo. Appena hanno avuto la sequenza dell'Rns virale, già a metà gennaio i primi hanno preparato centinaia di migliaia di tamponi, aree sanitarie dedite soltanto alla malattia nuova che stava emergendo, hanno protetto i sanitari. Purtroppo l'Italia è stato il primo Paese occidentale che è stato investito e che si è trovato più sguarnito degli altri. Devo dire che però ha fatto un lockdown quasi immediato e questo bisogna riconoscerlo".

Non sono poi mancate anche delle differenze di gestione dell'emergenza all'interno dell'Italia: "In primis, tra Nord e Sud – ha concluso Burgio -. Il primo è stato subito investito dallo tsunami dell'infezione mentre il secondo ha potuto godere di un periodo di relativa tranquillità per organizzarsi. Ma è utile guardare anche a ciò che è successo tra le regioni settentrionali. Il Veneto ha un tasso di letalità che è la metà o addirittura un terzo rispetto alla Lombardia e all'Emilia Romagna. In questo caso la differenza non è legata alla struttura del sistema sanitario quanto al fatto che in Veneto alcune persone esperte, come Andrea Crisanti, hanno subito convinto il governatore Zaia a bloccare tutto, dal Carnevale di Venezia alle lezioni all'Università di Padova, e a utilizzare subito il vero modello di controllo della pandemia, chiudendo la zona di Vo' e facendo un monitoraggio a tappeto dei casi e dei contatti. Ha capito che il virus circolava già da una ventina di giorni, forse un mese, e ha fatto subito quello che andava fatto, a differenza delle altre regioni, che invece hanno aspettato anche 10 giorni".

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