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La storia di Stefania Noce, la studentessa femminista assassinata a coltellate dall’ex

Attivista per i diritti delle donne, volontaria, umanista, scrittrice, Stefania Noce firmava articoli sul senso dell’essere ancora femminista negli anni Duemila. È stata uccisa il 27 gennaio 2011 a coltellate dal mite e introverso Loris Gagliano, ex fidanzato che non accettava di essere lasciato. Con lei è rimasto ucciso il nonno Piero, 71 anni, che si era parato davanti a lei per difenderla, nella casa dove vivevano insieme a Licodia Eubea.
A cura di Angela Marino
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Attivista per i diritti delle donne, volontaria, umanista, scrittrice. ‘Sen' firmava articoli sul senso dell’essere ancora femminista negli anni Duemila, studiava Lettere, esibiva orgogliosa lo striscione ‘Libera!’ e andava dove voleva, anche ad aiutare gli sfollati del terremoto. Gli anticorpi per riconoscere un femminicida, la 23enne Stefania Noce, ‘Sen’, universitaria siciliana, sembrava averli proprio tutti. Eppure non le hanno permesso di riconoscere nel mite e introverso Loris Gagliano, nel fidanzato storico, compagno degli anni di formazione, l’uomo che l’avrebbe uccisa con dieci coltellate. È caduta nel paradosso più grande di tutti, quello di sbandierare ideali di libertà e coltivare una relazione asfittica; di accarezzare un'immagine di sé di donna indipendente e vivere dentro la vita di un'altra, quella che mai avrebbe pensato di incarnare, la vittima.

Quattro anni di storia, per cominciare. Stefania aveva condiviso con Loris un piccolo, ma importante pezzo anni di vita, aveva imparato a fidarsi, gli aveva presentato la famiglia, gli amati nonni Piero e Gaetana che l'avevano accolta in casa a Licodia Eubea, dopo il divorzio dei suoi. Gli aveva consegnato i doppioni delle chiavi di casa, perfino delle auto dei suoi, perché Loris era della famiglia. Compagno di pomeriggi di studio, lei in Lettere, a Catania lui in Psicologia, a Roma, fidanzato presente, educato, sensibile, fin troppo. Quasi ossessivo, Loris non aveva mai fatto male a una mosca, figuriamoci alla sua Stefania. Poi era finita, o meglio, era finita per lei. Era successo anche a lei, come a tanti altri e altre, si era svegliata una mattina e si era accorta che non l'amava più, che quella relazione non era giusta per lei, che era, come si dice, ‘tossica'. E non era stato facile, ma gliel'aveva detto: "È finita".

Loris non l'aveva presa bene. Non che si fosse rinchiuso in casa a rimuginare, a cestinare regali e messaggi e lamentarsi con gli amici. No, non l'aveva presa affatto, nel senso che per lui non era finita, non poteva. E così si era messo a osservarla, a spiarne i movimenti, ad aspettare il momento in cui sarebbe entrato in casa e l'avrebbe affrontata a modo suo, con un coltello. Perché la parola fine spettava a lui, alle sue condizioni. Era arrivato quel 27 dicembre, erano da poco passare le 9 del mattino quando Loris metteva piede in casa entrando con la chiave che aveva finto di aver perso. Si avventò su Stefania, una, due, tre, volte, facendo schizzare il sangue sulle pareti come in un film dell'orrore. Non risparmiò neanche l'anziano nonno Piero, 71 anni, che aveva tentanto disperatamente di proteggere la nipote. Fu poi la volta di nonna Gaetana che però riuscì a sopravvivere e chiamare aiuto. Fu una specie di strage.

Mentre i soccorsi arrivavano nella palazzina a due piani in via Cairoli dove la famiglia viveva, Gagliano era già lontano. Si era fatto ritrovare seduto al posto di guida nella sua Ford ‘Ka' sul lungomare di Marina di Acate, con un tubo di scarico dentro l'abitacolo dell'auto. Sui sedili il coltello sporco di sangue. Non ha avuto problemi ad ammettere quello che aveva fatto. Ormai quello che doveva essere era stato. Si era lasciato portare in carcere e sempre senza ribattere aveva accettato l'accusa di duplice omicidio premeditato e tentato omicidio, mossa dalla Procura. Dopo la condanna di primo grado all'ergastolo e in attesa della perizia psichiatrica, aveva annunciato di voler rinunciare all'appello. Il suo difensore diceva che sembrava aver più paura del verdetto degli psichiatri che di quello dei giudici, anche se il primo avrebbe potuto accorciargli la pena.

Alla fine è stato carcere a vita. "Lei era un giocattolo e, piuttosto che darlo a qualcun altro, lui l'ha rotto", ha commentato amaro Ninni Noce, il papà di Stefania, dopo la sentenza definitiva. "Finché campo, voglio sapere che lui sta là dentro. Perché se esce, non so come potrebbe reagire la mia salute a un fatto del genere. Forse non ce la farei". Non gli è toccato scoprirlo, Ninni Noce è morto a 51 anni, poco dopo la morte di sua figlia. Alla memoria di Stefania sono stati dedicati aule e targhe, ma quello che della sua storia, oggi, resta più bruciante che mai, è un interrogativo. Se perfino una donna consapevole come lei, che aveva combattuto tutte le battaglie femministe, che sapeva chi era e quale posto aveva nel mondo, non ha capito, allora può veramente accadere a tutte?

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