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Covid 19

La fase due nelle stazioni: meno treni, tempi di attesa più lunghi e percorsi differenziati

Dalle grandi città agli snodi delle tratte dei pendolari, le stazioni sono da sempre luoghi ad alta concentrazione di persone. In epoca di Coronavirus, però, anche qui il panorama dovrà cambiare. Con l’avvicinarsi della fase due, i vertici delle Ferrovie si interrogano su come garantire il distanziamento sociale negli scali ferroviari. Ecco le soluzioni previste da uno studio di Rfi.
A cura di Marco Billeci
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“La fase 2 dell’emergenza Covid-19 aprirà un nuovo e diverso scenario dell’esperienza di viaggio dei cittadini”. Esordisce così uno studio interno della società della Rete Ferroviaria Italiana che delinea le modalità per garantire il distanziamento sociale all’interno delle stazioni, in vista della riapertura delle attività prevista a partire dal 4 maggio. Nel documento, che Fanpage.it ha potuto visionare, si fissano alcuni punti chiave: ci saranno meno treni in circolazione, tempi di attesa più lunghi, una separazione dei flussi in entrata e in uscita dagli scali. Diverse criticità però rimangono ancora da risolvere.

Distanziare i passeggeri nelle stazioni

Lo studio divide innanzitutto le stazioni in sei categorie, prendendo in considerazione alcuni elementi strutturali: numero di sottopassi e sovrappassi e loro ampiezza; numero di accessi esterni all’impianto; superficie utile per la sosta dei passeggeri; numero dei treni che possono essere presenti in contemporanea nella stazione; numero dei binari; disposizione dei marciapiedi.

Sulla base di questi elementi, Rfi cerca di definire dei percorsi ad anello che permettano di non far incrociare i viaggiatori in arrivo e quelli in partenza. Una prima soluzione ad esempio è prevedere, dove possibile, ingressi alla stazione diversi per i differenti binari e separati rispetto alle uscite. Si immagina poi la possibilità di dividere a metà i sottopassi sufficientemente larghi, in modo da distinguere i flussi in entrata e in uscita, e usare rampe di scale diverse (se ce ne sono) per l’accesso e il deflusso dalla banchina.

Anche per i marciapiedi dei binari è prevista, quando gli spazi lo consentono, una divisione in due parti per lungo. Si potrebbe creare così una sorta di  serpentina, in cui si utilizza una metà della banchina per permettere la discesa delle persone da un convoglio in arrivo mentre chi deve salire attende nell’altra metà. Solo una volta completato lo sbarco, i passeggeri in partenza potranno accedere al lato del marciapiede dove si trova il treno. Nelle stazioni in cui ogni marciapiede si affaccia su due binari, come quella di Roma Termini per esempio, s’ipotizza la possibilità di adibire un lato per la salita e uno per la discesa oppure usare le due linee in alternanza.

Altra questione è quella delle aree in cui attendere l’arrivo dei treni. Chiaramente il problema sarà meno accentuato nelle stazioni più grandi, dove si trovano ampie sale di aspetto e altri spazi simili. Negli scali a basso traffico, il documento di Rfi stima che possa essere garantito il distanziamento sociale anche lasciando i passeggeri ad aspettare i convogli sulla banchina. Per le stazioni medie o piccole ma molto frequentate, come ad esempio quelle sulle tratte dei pendolari, la soluzione è più complessa: qua andranno individuate e create zone di sosta, forse anche all’esterno dello scalo, regolando i tempi d’ingresso alla struttura. Per realizzare tutte queste soluzioni, servirà ovviamente un forte potenziamento della segnaletica e dell’assistenza alla clientela.

Fase due: arrivare in anticipo, aspettare di più

È chiaro che questa nuova modalità di funzionamento degli scali ferroviari avrà forti conseguenze sui tempi del nostro viaggio. Non potremmo più arrivare alla stazione all’ultimo minuto, ma dovremo muoverci con un congruo anticipo. Durante il tragitto, poi, i treni giunti in una stazione attenderanno più a lungo sul binario prima di ripartire: a seconda dei diversi casi si calcola un tempo aggiuntivo per ogni fermata dai due ai sette minuti, ma in casi estremi si possono raggiungere anche i quindici minuti in più.

Soprattutto, l’arrivo dei vari treni in una stessa stazione dovrà essere distanziato nel tempo per permettere che le operazioni di scarico e carico avvengano in sicurezza. In diversi casi le strutture non potranno ospitare più di un convoglio per volta, in altri le simulazioni calcolano un distanziamento maggiore di 10, 15 o 20 minuti tra i convogli rispetto a una situazione di traffico regolare. Tutto questo porta a una logica conclusione: ci saranno meno treni in movimento sulla rete ferroviaria. Nello studio di Rfi si fa l’esempio della stazione di Padova. Qui si stima un traffico ridotto del 50 percento in direzione Venezia; un dimezzamento delle tratte regionali che collegano la città con Bologna, Verona, Ferrara; un’offerta di Alta Velocità ridotta a due coppie di Frecce per Milano e due per Roma.

Infine, c’è il caso delle cosiddette “fermate”, quelle stazioni in cui si trovano solo binario e banchina, senza alcun tipo di fabbricato e quindi nessuna area di possibile sosta. In questi casi la gestione dei passeggeri si rivela ancora più complicata. Se i marciapiedi e i varchi non sono adeguati al distanziamento sociale, s’ipotizza che le fermate siano aperte ai viaggiatori solo in situazioni di bassa frequentazione oppure possano essere soppresse del tutto.

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