“In quel video c’è il mio fidanzato”: così la 16enne ha rotto il muro di omertà su Manduria

“A Manduria tutti sapevano. I video circolavano in tutto il paese”. Queste le parole dalla procuratrice dei minori Pina Montanaro, ieri nella conferenza stampa sui dettagli relativi agli otto fermi per la morte di Antonio Cosimo Stano, sessantasei anni, disabile psichico, emarginato da tutto e da tutti, deceduto il 23 aprile dopo 18 giorni di agonia nella rianimazione dell’ospedale cittadino. Lì era stato portato moribondo dalla polizia che in quello stato, lo scorso 6 aprile, lo aveva trovato nella sua casa assediata dal branco di ragazzini. Le baby gang da mesi, forse anni, si divertivano ad insultarlo, umiliarlo, picchiarlo e derubarlo.
E tutti sapevano. Ma alla fine a parlare è stata solo una ragazzina che lo scorso 12 aprile si è presentata al commissariato locale e ha confermato che anche il fidanzato era coinvolto: “Lui piangeva e anche io mi sono commossa, gli ho chiesto se lui era coinvolto in quella brutta storia…”. Un ragazzo che non è fra gli otto arrestati di ieri né fra gli altri sei inquisiti, le aveva girato via WhatsApp due dei filmati che mostravano la violenza del gruppo contro Stano. Lei è andata in questura. La giovane avrebbe fatto i nomi dei ragazzi coinvolti, aiutando i poliziotti a inchiodare i responsabili.
Tra cui anche il suo fidanzato, 19enne, finito in carcere, che di fronte agli inquirenti ha ammesso che l'abitudine "di andare a sfottere il pazzo" fosse il rimedio alla noia del sabato sera: "A. è sceso per primo dall'auto e ha cominciato a sferrare calci alla porta di ingresso, da dentro si udivano le urla di una persona che implorava ‘state fermi’. Poi la porta si apriva, un uomo è uscito, A. gli ha sferrato un forte schiaffo sul volto e calci, intanto il mio amico riprendeva tutto".