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In Italia dopo due anni di isolamento in Groenlandia: “Qui c’è troppa gente, voglio tornare laggiù”

Robert Peroni, ex esploratore, vive da 40 anni nella Groenlandia dell’est. Lì è rimasto bloccato per due anni con poco cibo e pochi soldi, insieme ai suoi amici Inuit.
A cura di Gianluca Orrù
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Grande atleta estremo negli anni '70 e '80, Robert Peroni ha compiuto imprese incredibili, come l'attraversamento a piedi del Sahara, come diventare il primo ad attraversare la Groenlandia a piedi, percorrendo 1400 chilometri sul ghiaccio, nel 1983. Lì, a Tasillaq, l'ultimo avamposto umano prima del Polo Nord, ha incontrato gli Inuit.

In quella zona della Groenlandia dell'Est non c'è niente. C'era la caccia alla foca, un tempo, ma dopo che gli occidentali l'hanno sfruttata, Greenpeace è riuscita a farla bandire, col risultato di compromettere l'equilibrio che gli Inuit locali avevano mantenuto per quattromila anni, fatto di caccia e pesca e di piccoli scambi commerciali di pelli e carni.

Anche se si chiama Groenlandia, terra verde, in questa parte del mondo non cresce nulla e quasi tutto deve essere importato. I locali vivono di denaro pubblico che viene erogato come assegno mensile, ma la disoccupazione è al 90% e molti stanno andando via. La cultura locale, fatta di un linguaggio che non ha una forma scritta, si sta velocemente consumando.

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Qui Robert Peroni ha deciso di stabilirsi 40 anni fa, dopo che la gente di Tasillaq, duemila abitanti, lo aveva insistentemente pregato: "Tu sei un uomo bianco – ricorda Robert Peroni – ma sei nostro amico, così ho venduto tutto quel poco che avevo e sono andato a vivere lì e sono contento di averlo fatto".

Quando è arrivato il primo lockdown, nel marzo 2020, l'Italia era il centro mondiale della pandemia e la troupe italiana guidata da Francesco Catarinolo, regista e da Gianluca De Angelis, produttore, è rimasta bloccata nella Casa Rossa, il rifugio di Robert, mentre girava un documentario su di lui e sui giovani che aiuta all'interno della Red House, la casa sociale del paese.

"E' stata un'esperienza che ci ha cambiato la vita – racconta Francesco Catarinolo, regista di "The Red House", docufilm prodotto da Tekla Films e che ha vinto il premio del pubblico a Trento e il premio della giuria a Graz – e il film racconta sia la vita di Robert che quelle dei tanti giovani che girano intorno alla Casa Rossa, cercando di raccontarne i problemi ma anche le speranze per il futuro".

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"E' stato un film molto difficile – racconta Gianluca De Angelis, che sta anche distribuendo il film nelle sale d'essai italiane – ed è stato complicatissimo far rientrare la troupe a fine aprile 2020, quando tutto il mondo era bloccato".

Dopo due anni da quei giorni, Robert è ritornato in Italia per salutare gli amici e per accompagnare la presentazione del film, sempre concentrato sulla ricerca di aiuto per il popolo Inuit che non vede l'ora di riabbracciare: "Abbiamo passato dei momenti difficili – racconta Robert – eravamo terrorizzati che il virus entrasse perchè, non avendo alcuna struttura sanitaria avanzata, per noi sarebbe stata una strage".

"Durante questi due anni abbiamo avuto un po' di fame – prosegue Peroni – perchè c'erano sì il pesce e la carne degli animali del mare che riuscivamo a pescare, ma i supermercati erano vuoti e non c'era niente. Non è come qui in Italia che i supermercati sono sempre pieni e avete 50 tipi di formaggio. Lassù non ne avevamo nemmeno uno".

Nonostante le difficoltà, ora che si può nuovamente viaggiare la Casa Rossa di Robert Peroni ha ricominciato a ricevere prenotazioni e lui non vede l'ora di rientrare a Tasillaq: "Le cose andranno meglio – sintetizza – e non vedo l'ora di rientrare a casa, sto bene lì".

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