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Il suicidio assistito in Svizzera dell’ex magistrato. La famiglia non sapeva nulla

E’ una scelta inquietante e che fa riflettere quella di Pietro D’Amico, 62 anni, magistrato fino a tre anni fa, prima della depressione. Il suo disagio ha avuto inizio dopo la fine di un’inchiesta dalla quale era uscito il suo nome. I familiari, sconvolti, ora vogliono capire.
A cura di Biagio Chiariello
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Pietro D'Amico, ex magistrato di 62 anni, ha deciso di porre fine alla sua vita. Originario di Vibo Valentia, ex sostituto procuratore generale che ha abbandonato la sua professione quasi tre anni fa, l'uomo si è recato in Svizzera dove ha deciso di ricorrere al suicidio assistito in una clinica di Basilea. Lo ha fatto senza avvertire i parenti. E’ stata infatti la Direzione della clinica a comunicare ai familiari della morte del magistrato e a spiegare le modalità con cui è avvenuta.

Panorama prova a interrogarsi sull'accaduto e a ricostruire gli accadimenti che hanno condotto alla scelta estrema. In particolare si fa riferimento all’inchiesta Poseidone e alla fuga di notizie sui presunti illeciti nella gestione dei fondi per la depurazione. L’accaduto lo buttò giù a tal punto da lasciare la magistratura, oltre che sé stesso:

L’ex magistrato di Vibo Valentia si ritira volontariamente dalla magistratura tre anni or sono. “Questa magistratura non mi merita”, dichiara un uomo arrabbiato, che si sente vittima di un’ingiustizia. Trent’anni di onorata carriera sono macchiati, forse in modo indelebile per la sensibilità e l’integrità di D’Amico, quando nel 2007 l’allora sostituto procuratore generale di Catanzaro viene sfiorato dall’inchiesta “Poseidone” dell’allora pm Luigi De Magistris. Il numero di telefono di D’Amico finisce nei tabulati di Gioacchino Genchi, il super consulente dell’attuale sindaco di Napoli, e così viene accusato di una “fuga di notizie”. Ben presto arriva il proscioglimento: “insussistenza della notizia di reato”, “lacunoso impianto accusatorio” sono alcune delle formule usate dal giudice per spazzare via le infamanti accuse nei confronti di un servitore dello Stato di cui è notoria l’attitudine non ad orchestrare inchieste farsa, ma ad applicare scrupolosamente la legge.

 I familiari,  sconvolti, ora vogliono capire – La notizia ha lasciato comprensibilmente scossi i parenti di D’Amico, che credevano fosse partito in auto, come faceva di frequente, per un viaggio. In realtà i regolari allontanamenti dalla Calabria dell'ex magistrato avevano come unica meta, negli ultimi tempi, la Svizzera per la definizione del percorso verso la "dolce morte". I familiari ora vogliono capire, attivando i loro legali, come sia stata attivato l'iter che ha portato al suicidio assistito del loro congiunto e soprattutto se sia normale che nessuno li abbia informati della volontà espressa dall'uomo. A farsi interprete dell’amarezza dei parenti di D’Amico è Pietro Giamborino, cugino dell’ex magistrato e persona nota negli ambienti politici calabresi per essere stato consigliere regionale. ”Pietro aveva qualche problema di depressione, che non gli impediva, però, di condurre una vita normale ed essere fisicamente efficiente. La sua morte, per le modalità con cui è avvenuta, è un fatto che ci sconvolge". E aggiunge: "Ci rivolgeremo ai nostri legali".

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