Il coronavirus blocca il ricovero, quando l’ospedale lo chiama è già morto da giorni

"La sanità italiana è un'eccellenza nel mondo, riusciamo a fare cose straordinarie ma non è organizzata bene l'ordinarietà: si dovrebbe potere essere curati anche in caso di pandemie". A dirlo è Cinzia Truppo, un medico, che ha voluto raccontare la storia di suo marito, Stefano Ghisi, farmacista sessantenne di Rovigo. È la storia di un uomo che, come ricostruisce l'Ansa, è morto nell’attesa di un ricovero in ospedale che non è stato possibile durante la fase di massima emergenza del Coronavirus. Ghisi, cardiopatico e diabetico, doveva essere ricoverato a inizio marzo al Centro cardiologico Monzino di Milano ma non è stato possibile per il blocco stabilito per i casi ordinari. E alla fine quando finalmente c’era un posto per lui, il farmacista era già morto da giorni.
È la vedova, appunto, a ricostruire l’accaduto. Il 29 gennaio Stefano Ghisi, nato a Bolzano da genitori di Ferrara ma veneto di adozione, era stato ricoverato per uno scompenso cardiaco all'ospedale di Rovigo. A metà febbraio i medici lo avevano dimesso "correttamente". Un primario del Monzino dopo un controllo il 5 marzo avrebbe però voluto nuovamente ricoverarlo subito, ma non è stato possibile a causa dell’emergenza Covid negli ospedali. È il 18 maggio quando, racconta la moglie, chiamano dall’ospedale per il marito. Che però era già morto per arresto cardiaco il 14 aprile.
"Sarebbe stato necessario avere i Pronto Soccorso separati per Covid e sale operatorie adeguate – le parole della dottoressa Truppo -. Nessuno può sapere se mio marito sarebbe morto comunque, ma è certo che la sua patologia sarebbe stata scoperta e sarebbe stato ben curato. È uno dei tantissimi pazienti morti per colpa del Covid, ma il nostro dovere è attrezzarci al meglio ed evitare che si possa morire così".