Ignazio Cutrò, imprenditore antimafia, lascia l’Italia: “Abbandonato dallo Stato, vendo tutto”

Ignazio Cutrò lascerà l'Italia. L'imprenditore siciliano, diventato un simbolo della lotta alla mafia, ha deciso di vendere la sua azienda e lasciare il nostro Paese dopo aver consentito, con le sue denunce alla magistratura, di far arrestare numerosi esponenti della criminalità organizzata. Il suo addio suona come una resa, ma la responsabilità va cercata nelle istituzioni che l'hanno lasciato solo, mettendolo nella condizione di non lottare più. Cutrò ha deciso di abbandonare la sua battaglia e lo ha fatto inviando una lettera a Filippo Bubbico, sottosegretario dell'Interno. "Le scrivo – si legge nella missiva – per comunicarLe che oggi vince la mafia a Bivona, sì è proprio così, sarò costretto a fare le valige ed andare via con la mia famiglia dalla mia terra. I miei figli sono stati costretti a lasciare gli studi, come Lei stesso mi ha detto davanti la mia famiglia a Roma, in occasione della conferenza stampa del 20 dicembre 2013, Suo padre ha fatto sacrifici per mantenerla negli studi, lavorava sodo, riprendendo le Sue stesse parole; ha aggiunto anche che, sempre Lei, con Suo figlio è stato diverso".
L'imprenditore continua: "Io ho cercato di lavorare, ho cercato di mantenere la mia famiglia ma non ci sono riuscito dopo che ho denunciato. Tutto da quel momento mi è andato contro, economicamente parlando nemmeno le Istituzioni hanno impedito che io e la mia famiglia perdessimo tutto. Tutte le istanze presentate, compreso quello per il mantenimento dei miei figli per gli studi, negati. Forse c’era un disegno anche dello Stato di impedire di risollevarmi, come ha fatto la mafia d’altronde. A parte gli impegni personali del Dott. Cirillo e del Gen. Pascali, al momento nessuno ha cercato di fare qualcosa, nemmeno come loro che nel loro possibile hanno cercato di aiutarci. Pratiche di danneggiamenti e perdita economica dell’azienda che non si sa dove siano, pratiche rigettate e pratiche in sospeso. Solo pratiche, come la famiglia Cutrò".
L'uomo nella sua lettera attacca frontalmente le istituzioni. Se è riuscito a salvare la sua azienda dalle mani della mafia, non è riuscito tuttavia a sopravvivere dopo le denunce. Lavorare è diventato difficilissimo. In pochi hanno continuato ad affidarsi alla sua impresa, secondo una triste "tradizione" che vuole i collaboratori di giustizia trattati come "infami" per aver denunciato. Le commissioni sono diminuite, ma non le tasse e le cartelle esattoriali che hanno messo Cutrò con le spalle al muro. "Andremo via da questo Paese, ma la gente dovrà sapere", scrive. Poi racconta che dopo le denunce non ha ricevuto nessun sussidio o contributo dallo Stato. "Forse qualcuno potrebbe rispondere che non disponevate degli strumenti, ma sarebbe l’assurdo in assoluto perché interpellando il Governo potevate modificare le norme per facilitare l’integrazione dei Testimoni di Giustizia e dare loro la possibilità di vivere una vita normale, a quanto pare però, questa volontà non c’è, non c’è la volontà di passare ai fatti ma si vuole lasciare tutto alle chiacchiere: ecco i risultati".
L'imprenditore vive sotto scorta dal 2008. Dopo le denunce che permisero di arrestare degli esponenti mafiosi, avrebbe potuto abbandonare la Sicilia e vivere – con una nuova identità – in un altro Paese, godendo di un vitalizio statale. Invece ha preferito rimanere nella sua terra, fiducioso che il suo coraggio sarebbe stato ripagato e che avrebbe potuto continuare a lavorare. Così non è stato: "Ho chiesto al Ministero che ai miei figli venisse concessa quella possibilità di rifarsi una vita, di andare via dalla Sicilia con una nuova identità in una località protetta e ricevere il sussidio dallo Stato. Così, avrebbero potuto studiare e costruirsi un futuro. Ma anche quella richiesta è stata bocciata".