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Opinioni

I decreti Salvini non sono stati aboliti. E la sua idea di immigrazione ha vinto ancora

Il Daspo urbano è ancora lì, i centri per il riconoscimento e il rimpatrio pure. Ed è lì, ancora, pure la Legge Bossi – Fini, architrave di un impianto culturale per cui lo straniero è ospite sgradito, e non risorsa e opportunità per un Paese vecchio e stanco. Ecco perché la modifica dei decreti Salvini è poco più di un pannicello caldo. Quando invece servirebbe un cambiamento radicale di tutto l’approccio all’immigrazione. Che parta dalla regolarizzazione degli irregolari, da una legge quadro sull’integrazione, e da nuove norme per ottenere la cittadinanza che superino il diritto di sangue.
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No, spiacenti, i decreti sicurezza non sono stati aboliti come vi stanno raccontando.

Sì, sono stati modificati – più o meno leggermente decidetelo da soli – ripristinando un po’ di protezione umanitaria e togliendo un po’ di multe alle organizzazioni non governative che presidiano il Mediterraneo centrale, ma l’impianto resta quello firmato e controfirmato dal ministro dell’interno Matteo Salvini e dal presidente del consiglio Giuseppe Conte Uno tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Soprattutto, rimane la medesima lettura del fenomeno migratorio. Una lettura securitaria, che rubrica le persone che cercano salvezza e opportunità nel nostro Paese come un mero problema da risolvere, ospiti indesiderati da far entrare il meno possibile. Che siano ”un po meno problema” o ”un po’ meno indesiderati” cambia poco le carte in tavola.

E infatti, per dire, una misura liberticida come il Daspo Urbano, quintessenza delle politiche “legge e ordine” di Matteo Salvini, rimane lì dov’è e viene pure rafforzato. Il fatto che finisca dentro un decreto che si chiama “immigrazione” si commenta, purtroppo, da sé.

Allo stesso modo, rimangono lì dov’è la Legge Bossi – Fini, il reato d’immigrazione clandestina e il blocco all’immigrazione per motivi economici, vera e unica colonna portante da abbattere se si vuole cambiare approccio alla gestione migratoria dell’ultimo ventennio. Abominio, quest’ultimo, che ha generato un massa enorme di irregolari, circa 600mila, la quasi totalità dei quali sono persone che hanno fatto richiesta d’asilo senza averne i requisiti, e che in quanto irregolari non possono né lavorare, né costruire un percorso d’integrazione nel nostro Paese per loro e le loro famiglie. Parlare di sanatoria degli irregolari, o di ripristinare regolari flussi per chi vuole venire nel nostro Paese a lavorare è ancora tabù.

Rimangono lì dove sono anche i campi di concentramento per l’identificazione e il rimpatrio voluti dal governo gialloverde al posto del sistema di accoglienza diffusa. E rimane lì dov’è anche la rinuncia dello Stato a presidiare le acque del Mediterraneo centrale – cosa che con l’operazione Mare Nostrum c’eravamo impegnati a fare -, che poi è il vero motivo per cui le navi delle organizzazioni non governative sono lì dove sono, sostituendosi all’ignavia delle istituzioni.

Rimane lì dov’è, soprattutto una cultura che non riesce a pronunciare la parola integrazione senza sentire un brivido di terrore dietro la schiena. Come se non avessimo bisogno come l’aria di nuovi italiani in grado di ridare linfa vitale a un Paese vecchio e stanco, che non ha più fame di futuro. Come se quei bambini nati in Italia che frequentano le nostre scuole non fossero il più grande tesoro che abbiamo tra le mani. Come se costruire un quadro normativo che consenta a chi arriva e vuole diventare italiano di poterlo diventare in tutto e per tutto sia una bestemmia che non merita nemmeno di essere pronunciata. Come se ancora nel 2020, in un mondo che non è mai stato così interconnesso, il sangue italiano avesse ancora la precedenza su tutto.

Piuttosto che niente è meglio piuttosto, va bene. E va bene, oggi l’Italia è un po’ meno disumana di ieri. Ma per piacere, non esultate. Che di lungimiranza e coraggio ne servono ancora tonnellate.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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