“Ho pianto, non mi vergogno”: Ernesto Colnago, leggenda delle due ruote, laureato a 93 anni

"Ho pianto, non mi vergogno". Con queste parole Ernesto Colnago, leggenda del ciclismo e artefice di alcune tra le biciclette più iconiche della storia, racconta al Corriere della Sera l'emozione provata nel ricevere la laurea magistrale ad honorem in Ingegneria dal Politecnico di Milano.
A 93 anni, come il suo mentore Enzo Ferrari, Colnago ha coronato un sogno interrotto nel 1942, quando fu costretto ad abbandonare gli studi per lavorare e sostenere la sua famiglia. Giovedì scorso, è arrivato il tributo di un'importante istituzione accademica a uno dei più grandi maestri della meccanica artigianale italiana.
Le origini umili di Ernesto Colnago
Oggi simbolo indiscusso del telaio e pioniere nell’uso del carbonio, Colnago ha mosso i primi passi saldando biciclette in una piccola officina di Cambiago. "I miei genitori erano contadini. Continuare a studiare era impensabile. Ho imparato tutto con le mani e la saldatrice. E la mia paga? Due sacchi di farina gialla". A soli 13 anni lavorava alla Amf Gloria di Milano, dichiarando un’età superiore pur di essere assunto. "Ogni giorno percorrevo 23 km in bici all’alba, seguendo la luce dei fanali a carburo degli altri ciclisti. C’era miseria, ma ero felice".
La svolta dopo un incidente
La svolta arrivò per caso, a seguito di un incidente che lo costrinse a portare il gesso. Bloccato a casa, si offrì di assemblare biciclette e ruote nel proprio garage. "Non volevo soldi, ma materiale. Così è nata la mia officina". Da lì, il salto fu breve: nel 1955, Fiorenzo Magni bussò alla sua porta. Colnago sistemò la bici, Magni vinse il Giro d’Italia, e lui entrò nel mondo del ciclismo professionistico. "Ne ho seguiti 25 in ammiraglia. E da quel momento ho iniziato a costruire bici da corsa".
La bici come estensione dell’atleta
Per Colnago, una bicicletta non è semplicemente un oggetto, ma un’estensione del corridore. "Va fatta su misura. Non bastano le misure: bisogna parlare con l’atleta, osservare come soffre in gara. Servono ascolto, attenzione, empatia". Quando ancora regnava l’acciaio, il successo passava tutto per la saldatura: "Un millimetro fuori posto, e avevi fallito".
L’intuizione rivoluzionaria del carbonio
Eppure, proprio lui – l’uomo dell’acciaio – fu il primo a credere nel carbonio. Una convinzione maturata anche grazie a Enzo Ferrari. "Mi accolse a Maranello, studiavamo insieme i miei disegni. Quando mi spiegò che il carbonio resisteva meglio a vibrazioni e sollecitazioni, capii che dovevo provarci". Il debutto avvenne alla Parigi-Roubaix del 1996. "Avevo paura, portammo anche bici in alluminio per sicurezza. Poi vidi tre Mapei davanti a tutti e capii: avevo vinto la mia scommessa".
Oggi Colnago ha ceduto il marchio, ma a Cambiago ha creato un museo che racconta la sua vita. Non una semplice vetrina commerciale, ma un percorso di memoria autentica: le biciclette sono esposte come hanno tagliato i traguardi, ancora impolverate, graffiate, vissute. "Quando accompagno i ragazzi delle scuole e vedo brillare i loro occhi, mi sento di nuovo uno di loro. Finché avrò fiato, sarò io la loro guida".