Gli studenti in arrivo da Gaza non possono portare i figli: “Il Consolato italiano può dare i visti ma non lo fa”

M. A., architetta palestinese vincitrice di una borsa di ricerca in Italia, è stata messa dai funzionari del Consolato generale d'Italia a Gerusalemme davanti a una scelta impossibile: essere evacuata da Gaza con un volo della Farnesina, lasciando però lì suo figlio di 7 anni; oppure restare nella Striscia con lui, abbandonando ogni speranza di venire a Roma, sia per sé che per il suo bambino.
Una decisione, qualunque essa sia, dalle ripercussioni psicologiche devastanti. Come M. A. decine di altri ricercatori sono stati messi davanti allo stesso bivio dal Consolato a pochi giorni dalla partenza del corridoio universitario previsto per stasera, 22 ottobre. Fanpage.it ha quindi raggiunto l'avvocata Anna Brambilla, dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI) che spiega: "Il beneficiario di un visto di studio è il singolo, non la sua famiglia, tuttavia il Consolato italiano può decidere di emettere un visto in deroga alle procedure ordinarie, almeno in alcuni casi, come quello di un figlio minorenne che accompagna la madre o il padre. Si tratta di una procedura regolata dal diritto europeo".
La trappola della promessa di ricongiungimento: "Possono volerci anni"
Sono oltre cento gli studenti e i ricercatori titolari di borse di studio in Italia. Solo dall'invasione di Gaza successiva al 7 ottobre 2023 hanno perso la vita più di 60 mila persone, mentre i sopravvissuti hanno visto la loro vita cambiare radicalmente: niente cibo, niente casa, e ovviamente niente università. La Conferenza dei rettori (Crui) ha quindi creato lo IUPALS, un progetto per dare borse di studio ai ricercatori e studenti più meritevoli, permettendo così almeno a una piccola parte dei giovani palestinesi di crearsi un nuovo futuro. Recentemente, il Ministero degli Esteri ha predisposto tre voli per condurre i borsisti e ricercatori in Italia attraverso i corridoi universitari. Il primo è avvenuto lo scorso 1 ottobre, un altro si terrà stasera.
Il prezzo da pagare però si è rivelato incredibilmente alto per i vincitori, soprattutto per quelli con figli piccoli: possono partire, ma solo a patto di lasciare l'intera famiglia a Gaza, un luogo in cui dall'inizio dell'assedio il 30% dei morti sono stati bambini. A metterli di fronte a questa scelta sono stati proprio i funzionari del Consolato italiano a Gerusalemme una settimana prima della partenza, come aveva denunciato pubblicamente la scrittrice italo-palestinese Widad Tamimi.
L'indicazione ufficiale, la stessa che stanno dando anche i volontari che fanno da ponte tra i borsisti e le università, è quella di partire comunque ed effettuare poi il ricongiungimento familiare. Lo stesso suggerimento che si legge tra le righe della nota ufficiale inviata alla stampa dalla Farnesina lo scorso 16 ottobre: "Particolarmente delicata è la questione dell’accoglienza dei familiari degli studenti. A causa delle politiche attuate finora dai paesi di transito (Israele e Giordania) non è consentito ai borsisti di viaggiare con i propri familiari al seguito. Gli interessati possono attivare le richieste di ricongiungimento familiare una volta regolarizzata la propria posizione in Italia, con permesso di soggiorno".
Qui, secondo l'avvocata, si cela la trappola più insidiosa: "Per poter fare il ricongiungimento familiare bisogna essere in possesso di requisiti specifici che in questo caso sono ancora più stringenti. Normalmente, le persone che entrano con visto umanitario possono chiedere asilo e ottenere lo status di rifugiato, e non devono dimostrare di avere un reddito stabile e un alloggio adeguato per poter fare arrivare i familiari. Alla persona che entra come ricercatore, invece, è richiesto di rispettare queste condizioni, e sino ad oggi non è stata fatta alcuna deroga".
C'è poi il problema dei tempi che l'avvocata specializzata in diritto all'immigrazione conosce bene: "Le procedure di ricongiungimento familiare possono durare dei mesi, a volte degli anni, a seconda dell'ambasciata di riferimento. Eppure il diritto internazionale prevede il rilascio di particolari tipi di visti per motivi umanitari, utili in queste situazioni". E l'ambasciata dovrebbe saperlo.
"La soluzione è già nelle mani del Consolato italiano"
È vero che il visto per motivi di studio riguarda solo la persona che lo ottiene, e non si estende alla sua famiglia, ma esiste anche un regolamento europeo che permetterebbe ai genitori di ottenere un visto per i propri figli. "In forza dell'articolo 25 del Codice Visti dell'Unione Europea – spiega Brambilla – possono essere rilasciati visti con validità territoriale limitata, in via eccezionale, per motivi umanitari, anche quando le condizioni per il rilascio di un altro tipo di visto non ci sono".
In sostanza, anche se la madre o il padre del bambino entra in Italia con un visto di studio, il Consolato – in forza della situazione di stretta urgenza e pericolo che stanno vivendo i gazawi – può comunque decidere di rilasciare questo visto speciale per motivi umanitari. L'ottenimento del visto è solo il primo passo, però, propedeutico al permesso di transito rilasciato da Israele, ma senza questo ogni speranza di abbandonare la Striscia è impossibile.
Il futuro di M. A. e del suo bambino è ancora una volta nelle mani del Consolato italiano a Gerusalemme, lo stesso che non sta rilasciando i visti per uscire da Gaza, nonostante le pronunce del Tribunale di Roma e le responsabilità penali a cui va incontro il Ministero degli Esteri, secondo la denuncia a Fanpage.it degli avvocati di ASGI.