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Opinioni

Gli opinionisti in tv sono tutti maschi over 50. È questo il problema, non il compenso

Il problema dell’opinionismo in tv affonda le radici in un sostrato culturale che ha difficoltà a sentire opinioni molto diverse da quelle di maschi bianchi over 50.
A cura di Jennifer Guerra
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Negli ultimi giorni si è molto parlato del cosiddetto “mercato degli opinionisti”, il sistema degli ospiti televisivi che, in cambio di cachet a volte molto elevati, partecipano alle trasmissioni per dire la loro più o meno autorevole opinione. È un segreto di Pulcinella, svelato grazie alle polemiche sulla presenza in tv di Alessandro Orsini, professore associato nel dipartimento di Scienze politiche della Luiss e autore di controverse dichiarazioni sulla guerra in Ucraina. Le sue ospitatate – e soprattutto i suoi compensi erogati dal servizio pubblico – hanno spinto il presidente della commissione parlamentare di Vigilanza della Rai Alberto Baracchini a presentare una risoluzione per una maggiore trasparenza su questo sistema.

Il tema certamente non è nuovo, ma non si può dire che sia mai stato analizzato davvero. Qualche accenno allo strapotere mediatico dei commentatori lo si era fatto durante le fasi più intense della pandemia, dove i palinsesti tv erano dominati da virologi, epidemiologi, infettivologi e altri esperti di varia natura. Ma i problemi dell’opinionismo televisivo non si limitano solo a quanti soldi delle nostre tasse vengano impiegati a pagare provocatori di professione o tuttologi improvvisati. C’è un problema a monte che riguarda l’utilità di avere voci di quel tipo – e che la conduttrice Bianca Berlinguer ha sollevato nella sua lettera alla Stampa – collegato a una scarsissima mancanza di diversità nella scelta degli esperti.

Non solo a professionisti preparati e bravi spesso si preferiscono figure approssimative e rissose, ma si tratta anche di un ristretto e poco rappresentativo campione demografico: quello degli uomini over 50. Come sottolinea il monitoraggio della rappresentazione della figura femminile nella programmazione televisiva Rai eseguito ogni anno dall’Osservatorio di Pavia, le donne continuano a essere sottorappresentate tra i politici ospiti delle trasmissioni (18%), tra i portavoce di associazioni, aziende, enti, istituzioni e partiti (22%) e tra gli esperti (25%). Queste percentuali così basse, come specifica la sintesi del rapporto, non sono legate soltanto alla scarsa presenza femminile nei rispettivi settori, ma anche a “qualche retaggio di antichi pregiudizi contro la competenza femminile: nelle professioni sanitarie, così presenti in tv durante la pandemia (solo il 27,2% sono donne), nello sport (solo il 25,7% di atlete), e persino nella scuola, dove le insegnanti rappresentate sono solo il 35,5% malgrado la presenza maggioritaria nella pratica professionale”. Questi dati sono stati confermati da un’altra grande indagine a livello mondiale, il Global Media Monitoring Project.

Sono stati fatti alcuni tentativi di superare il problema, come l’intesa della Rai contro i manel (i panel di esperti formati da soli uomini) “No Women No Panel” o la banca dati curata da GiULiA Giornaliste “100 esperte”, che segnala le eccellenze femminili in ogni settore. Quest’ultima iniziativa in particolare risponde a un’obiezione molto comune che viene fatta quando si fa notare che non ci sono abbastanza donne in televisione, ovvero che “le donne non si trovano”. In realtà non sono le donne a mancare, ma la volontà di riconoscerne la professionalità e il ruolo, vuoi per pigrizia o consuetudine, vuoi per pregiudizio. A esserne vittima non è solo la televisione, ma anche l’editoria. Sono ancora troppo poche le donne che scrivono gli editoriali sui giornali o che hanno il potere di decidere cosa scrivere: nonostante occupino il 42% dei posti di lavoro nel settore, secondo l’Osservatorio europeo sul giornalismo firmano solo il 21% degli articoli. Di tutti i quotidiani nazionali, c’è solo una direttrice responsabile, Agnese Pini de La Nazione.

È un po’ troppo ottimistico pensare che aumentare la presenza delle esperte in tv o sui giornali si tramuti in automatico in un’informazione di qualità. Il modello attuale di talk show che non invoglia a un dibattito approfondito ma spera che si creino le condizioni per una rissa, però, esiste anche perché ad alimentarlo sono sempre le solite voci maschili, magari impreparate, ma che continuano a essere chiamate nella speranza che succeda qualcosa. Questo crea situazioni paradossali, in cui una platea di uomini si mette a parlare di femminicidio o non c’è una singola persona non bianca a discutere di razzismo, ma per amore di un fantomatico contraddittorio possono intervenire figure che in nome della loro libertà d’espressione dicono le cose peggiori. E non serve fare parte di una minoranza per non sentirsi rappresentati non solo da questo modello di intrattenimento, ma anche dagli attori che lo animano.

Anche la credenza che “la tv ormai la guardano solo i vecchi”, che giustificherebbe una platea di ospiti omogenea per genere ed età, non è poi così fondata: stando all’ultima rilevazione Istat, l’87% degli under 45 guarda la televisione regolarmente. Si tratta di una percentuale più bassa degli over 45 (94%), ma comunque significativa. Finché non ci si impegnerà davvero per un ricambio generazionale, finché non si sceglieranno figure rappresentative della demografia italiana, finché anche le donne non verranno chiamate in qualità di esperte del proprio settore e non solo perché “manca una donna”, l’informazione non avrà alternative che attingere al mercato degli opinionisti. E i loro guadagni rimarranno solo l’ultimo dei problemi.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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