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Gli appalti del Comune truccati per sostenere la latitanza del boss Messina Denaro

Blitz dei carabinieri a Castelvetrano, il comune del Trapanese che ha dato i natali al capo mafia latitante dal ’93. In manette un imprenditore, Rosario Firenze, e un geometra, Salvatore Sciacca. Entrambi sono accusati di associazione mafiosa, fittizia intestazione di beni, turbata libertà degli incanti aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di beni.
A cura di Biagio Chiariello
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Mattia Messina Denaro è ancora il latitante italiano più ricercato, ma il cerchio intorno alla primula rossa di Cosa Nostra si stringe sempre di più. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani e del Ros hanno arrestato un imprenditore del comune che ha dato i natali al boss mafioso, Castelvetrano (Trapani), Rosario Firenze e il suo geometra Salvatore Sciacca per le ipotesi di associazione a delinquere di tipo mafioso, fittizia intestazione di beni, turbata libertà degli incanti aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di beni. L’ipotesi della Dda di Palermo è che pilotassero gare d’appalto nel settore dei lavori pubblici a favore di Firenze e il denaro ricavato finisse nelle tasche di Messina Denaro.

Rosario “Saro” Firenze, 45 anni, è già in carcere, mentre di Salvatore Sciacca, 43 anni, è stato posto ai domiciliari. Attuate notifiche della misura cautelare del divieto di esercitare l'attività d’impresa a carico di altrettanti imprenditori edili castelvetranesi e la notifica dell'avviso di garanzia nei confronti di altri quattro indagati tra cui due funzionari del Comune di Castelvetrano, sospettati di avere aiutato Cosa nostra ad aggiudicarsi appalti., e due fratelli di Rosario Firenze.

Sono state le intercettazioni a svelare gli appalti finiti nel mirino del clan di Castelvetrano. I collegamenti tra l’imprenditore e il Comune sarebbe stato il geometra Salvatore Sciacca ufficialmente dipendente dell’impresa di Firenze. In un’occasione si intuisce la sua preoccupazione in riferimento all’esito di gara di appalto in cui uno degli indagati, di fatto un prestanome, aveva notificato la sua appartenenza, “tu glielo hai detto a chi appartieni? A posto”. Tutti gli introiti sarebbero serviti a sostenere le esigenze della famiglia Messina Denaro e per il sostentamento della latitanza del capo mafia, ormai irreperibile dal 1993.

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