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Incidente Funivia Stresa-Mottarone

Funivia Mottarone, direttore esercizio funivia nega: “Non sapevo del blocco ai freni”

Ha confermato davanti al gip durante l’interrogatorio di garanzia avvenuto in carcere a Verbania di aver messo il blocco al freno il giorno dell’incidente del Mottarone costato la vita a 14 persone. Gabriele Tadini, il caposervizio dell’impianto, ha così ripetuto quanto già detto agli inquirenti dopo il fermo nella notte tra martedì e mercoledì scorso. Alle sue parole si oppongono quelle di Enrico Perocchio, direttore d’esercizio della funivia, che ha invece rigettato ogni accusa e ha spiegato di non sapere della presenza dei forchettoni per bloccare il sistema di frenaggio.
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A cura di Chiara Ammendola
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Incidente Funivia Stresa-Mottarone

Ha rigettato ogni accusa il direttore d’esercizio Enrico Perocchio che durante l'interrogatorio di garanzia in carcere ha negato di essere a conoscenza del blocco ai freni inserito nella funivia. Poche ore fa invece Gabriele Tadini, il caposervizio dell’impianto, aveva confermato di aver messo il blocco al sistema di frenaggio, ripetendo così quanto aveva detto agli inquirenti subito dopo il fermo avvenuto lo scorso mercoledì. Le parole dei due sono state pronunciate al giudice per le indagini preliminari e alla procuratrice Olimpia Bossi durante l'interrogatorio di garanzia avvenuto in carcere a Verbania dove i due si trovano dopo l'incidente della funivia del Mottarone che ha causato domenica scorsa 14 morti, tra cui due bimbi, e un ferito grave, il piccolo Eitan di 5 anni ancora ricoverato.

Chiesta la misura dei domiciliari per Tadini

Dunque si è concluso così l'interrogatorio di Tadini che è stato il primo a essere ascoltato dal gip, con lui il legale Marcello Perillo. L'uomo ha confermato quanto già ammesso nella notte tra martedì e mercoledì poco dopo il fermo, ovvero di aver deciso non solo di mettere ma di mantenere i forchettoni sulle ganasce che hanno disattivato il sistema frenante d’emergenza, che ha poi impedito il blocco della funivia quando la fune si è spezzata. Quella domenica lo avrebbe fatto, nell’ultimo mese, per evitare blocchi della cabinovia dovuti alle anomalie dei freni. "È distrutto, sono quattro giorni che non mangia e non dorme, il peso di questa cosa lo porterà per tutta la vita – le parole dell'avvocato al termine dell'udienza durata circa tre ore – è morta gente innocente, potevano esserci il figlio di Tadini o il mio" in quella cabina precipitata. L'avvocato Perillo ha fatto poi sapere di aver chiesto la misura cautelare degli arresti domiciliari per il suo assistito: "Hanno l'adeguatezza per contenere eventuali rischi. Ho chiesto solo i domiciliari, non la libertà. Ho contestato le esigenze cautelari della procura".

Perocchi: Quella di usare i forchettoni scelta scellerata di Tadini

Ascoltati in mattinata anche gli altri due indagati, il titolare della Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini e il direttore d’esercizio Enrico Perocchio. Proprio quest'ultimo he respinto le accuse fatte da Tadini spiegando al gip che non sapeva del blocco inserito ai freni. "Non salirei mai su una funivia con ganasce, quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini", le parole di Perocchi secondo quanto riferito dal suo legale, avvocato Andrea Da Prato che ha chiesto la libertà per il suo assistito. "È incredulo e inebetito – ha spiegato il difensore – ha spiegato durante l'interrogatorio al gip che non poteva prevedere né sapeva che qualcuno avesse fatto uso scellerato delle ganasce".

Erano tutti e tre consapevoli di quel sistema di blocco

Per tutti il pm ha chiesto che venga confermata la misura cautelare del carcere. Nelle pagine dei verbali dell'interrogatorio a Tadini avvenuto dopo il fermo, viene spiegato come anche Nerini e Perocchio fossero consapevoli della presenza di quel blocco, ciò nonostante hanno continuato, perché in caso contrario avrebbero perso i soldi degli incassi già decimati dalla pandemia e inoltre ne avrebbero dovuti spendere di altri per effettuare le costose riparazioni. Perocchio, si legge, "era assolutamente consapevole delle anomalie che il sistema frenante presentava da tempo e dell’inutilità dei lavori effettuati in precedenza", come sapeva che "erano necessari interventi più radicali e che l’unico modo per aggirare gli inconvenienti" era "la manomissione del dispositivo di sicurezza".

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