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Firenze, vandalizzata la targa dedicata a Idy Diene, senegalese ucciso da Roberto Pirrone

La targa apposta oltre un anno fa sul Ponte Vespucci di Firenze in memoria di Idy Diene, senegalese ucciso dall’italiano Roberto Pirrone, è stata imbrattata nella notte tra sabato e domenica. La scritta è stata poi rifatta poche ore più tardi da un gruppo di volontari antifascisti: “A Idy Diene, assassinato da mano razzista, 5 marzo 2018”.
A cura di Davide Falcioni
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La targa apposta a Firenze in memoria del senegalese Idy Diene, ucciso il 5 marzo del 2018 dall'italiano Roberto Pirrone, è stata vandalizzata nella notte tra sabato e domenica. Ignoti armati di vernice hanno coperto la scritta dedicata alla vittima, che recitava: "A Idy Diene, assassinato da mano razzista, 5 marzo 2018". La notizia è stata data ieri mattina sui social nework dall'Arci di Firenze con un post: "Il limite è stato superato da tempo. Reagiamo insieme, decisi e risoluti, per fermare una deriva inquietante che vorrebbe imporsi in ogni città. Firenze e l'Italia intera sono antifasciste e antirazziste. Non un passo indietro". Poche ore più tardi la targa è stata ripristinata da un gruppo di cittadini antitifascisti.

La mattina del 5 marzo del 2018 Roberto Pirrone, tipografo fiorentino di 65 anni in pensione e con problemi economici, uscì dalla sua abitazione armato di pistola con l'intenzione di suicidarsi perché disperato. Arrivato sul ponte Vespucci però cambiò improvvisamente idea e anziché rivolgere l'arma verso se stesso, la puntò contro un venditore senegalese che si  in quel momento transitava su quello stesso ponte. Le telecamere ripresero la scena: Pirrone, prima di far fuoco più volte contro Idy Diene (tre i colpi andati a segno, altri andati a vuoto), attese che passassero altre persone, poi scelse di colpire proprio lo straniero.

In primo grado Roberto Pirrone era stato condannato a 16 anni di carcere dopo un processo celebrato con rito abbreviato. Nella sentenza di secondo grado tuttavia la corte d'appello ha riconosciuto l'aggravante dei futili motivi nei confronti dell'imputato, presente in aula, che una perizia era stato anche riconosciuto capace di intendere; per questo la corte ha mutato la condanna a 30 anni di carcere

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