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Femminicidio Eligia Ardita, il marito dal carcere: “Non ho uccisa mia moglie e mia figlia”

“Nessuno mi ha dato voce”. Christian Leonardi, il marito dell’infermiera morta un mese prima di dare alla luce la figlioletta Giulia, ha scritto una lettera dal carcere dopo che il caso è finito in TV, ad Amore Criminale. “Nessuno verrà a intervistare me in carcere”, ha detto Leonardi, condannato in primo grado all’ergastolo, “ma voglio dire che non ho ucciso mia moglie e mia figlia”.
A cura di Angela Marino
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"Non ho ucciso mia moglie e mia figlia". Dopo il risalto avuto dal in TV dal caso del femminicidio di Eligia Ardita, morta a 36 anni all'ottavo mese di gravidanza per un arresto cardiaco cagionato da una colluttazione, il marito Christian Leonardi, ha scritto una lunga lettera per ‘replicare' alle interviste dei parenti della vittima. La missiva, scritta da Leonardi nel carcere in cui è recluso dopo la condanna in primo grado all'ergastolo per omicidio e procurato aborto è stata indirizzata ad Alessia Zeferino di ‘Siracusa Times' e Seby Spicuglia de ‘La Sicilia'. L'ex marito di Eligia, che oggi si professa innocente, in passato aveva confessato di aver ucciso la moglie, salvo poi ritrattare la confessione. Ecco come Leonardi difende oggi la propria posizione sui fatti del 19 gennaio 2015, a Siracusa, quando Eligia è stata ricoverata in ospedale in fin di vita:

Sono Christian Leonardi,

condannato in primo grado per avere ucciso mia moglie Eligia, procurando anche la morte della bimba che teneva in grembo: nostra figlia Giulia. Ho sperato che qualcuno potesse dare voce anche a me, come è stato fatto per i presunti autori di reati altrettanto gravi ed infamanti, affinché l’opinione pubblica avesse anche la mia versione dei fatti e non solo quella delle parti civili e possa riflettete su quanto ho da dire e risulta effettivamente provato o non provato nel processo. Ma nessuna delle trasmissioni televisive che per tante puntate si sono occupate della vicenda ha accolto la richiesta dei miei avvocati: dopo la sentenza è stato ospitato uno dei difensori delle parti civili e i miei legali non sono stati nemmeno invitati.

Posso sperare che almeno attraverso il Vostro giornale coloro che mi giudicano un assassino pur senza avermi mai ascoltato o letto le carte del processo sappiano anche quello che ho da dire a mia difesa? Io non ho ucciso mia moglie e mia figlia. Non sono un violento né un delinquente, non ho mai percosso mia moglie; non sono un tossico, né un ludopatico, come mi hanno dipinto i familiari di mia moglie. Io non sono un mostro: sono un uomo che ha sempre lavorato e da più di quattro anni vive ingiustamente chiuso in un carcere, con la sola compagnia del dolore immenso della perdita della moglie e della figlia, che non ha ucciso e che non ha nemmeno potuto piangere, e della speranza che – alla fine – si riesca a capire che cosa ha provocato la loro morte. Anche se questo accadesse so non le farà tornare in vita e non potrà mai risollevarmi dal vuoto immenso ed incolmabile lasciato dentro di me dalla scomparsa di una moglie che amavo quanto lei mi amava e da una figlia tanto desiderata da entrambi che avrebbe suggellato la loro vita insieme. Insieme a loro, dentro, sono morto anch’io.

È davvero così incomprensibile che dopo mesi di disperazione, isolato da tutti e condannato dall’opinione pubblica per via delle affermazioni dei miei suoceri e di mia cognata (che stanno pignorando la casa mia e di Eligia per togliermi anche quel ricordo), io abbia ceduto alle insistenze dell’avvocato Scuderi, che aveva convinto anche mio fratello che io ero colpevole e che altrimenti mi avrebbero portato via in manette davanti ai miei genitori, facendoli morire di crepacuore? Eppure il processo contro di me è nato perché proprio io mi sono rivolto alla giustizia per capire se qualcuno era responsabile della morte dei miei cari. Nella mia denuncia, acquisita agli atti del processo, non ci sono accuse, ma solo dubbi che volevo fossero risolti. Purtroppo, ad oggi, così non è stato.

Mia moglie non aveva lividi o segni di maltrattamenti, ma nemmeno questo è servito a smettere che io l’abbia mai percossa o maltrattata. Io non ho la minima idea di dove, come e perché abbia battuto la testa tanto da procurarsi quei versamenti trovati quando hanno fatto l’autopsia. Ho sempre detto che non lo sapevo e ho precisato anche al Gip che non avevo mai picchiato mia moglie. I periti del Tribunale hanno detto che “il trauma cranico patito da Ardita Eligia non possiede una efficienza lesiva tale da avere prodotto alterazioni delle funzioni neurovegetative”, insomma non sappiano come e quando si sia procurata quelle lesioni, ma sappiamo che a causa di quelle non ha e non poteva perdere conoscenza.

Così è caduta l’ipotesi accusatoria, sostenuta dal consulente del pubblico ministero, che Eligia sia morta per trovarsi in stato di incoscienza e non avere avuto il normale riflesso della tosse che le avrebbe impedito di venire soffocata dal proprio vomito. Ma quando Eligia avrebbe vomitato?

In ogni caso, anche una volta i periti del Tribunale smentiscono l’accusa perché affermano che l’aspirazione del cibo proveniente dallo stomaco probabilmente non è stata la causa della morte, ma l’ha solo accelerata, aggravando una situazione già compromessa. Da cosa? Il cuore di Eligia non presentava lesioni “macroscopiche”, ma i periti ritenevano necessario un approfondimento di analisi, che non è stato dato loro il tempo di fare. La placenta? Nella consulenza del Pm si legge che era “vecchia ed infartuata”, i periti, invece hanno visto solo sette vetrini dai quali risultava sana. Ma da quale parte della placenta sono stati presi i vetrini non lo sappiamo e la placenta non è stata conservata. Perché? Davvero i ritardi tra la mia chiamata al 118 e l’ingresso di Eligia in ospedale (oltre mezz’ora) non sono stati fatali per lei e/o per la bambina?

Il dottor Aloi, medico dell’ambulanza, ha sostenuto che Eligia era già morta quando lui è arrivato. Ma come è possibile, allora, che Eligia avesse sullo sterno lividi presumibilmente lasciati dalle manovre rianimatorie? Perché, se Eligia è stata trasportata in ospedale solo per cercare di far vivere almeno la bambina non lo si è fatto subito? Io e mio suocero potevamo aiutare a trasportare la barella, anche se il personale dell’ambulanza era formato di sole tre persone. E quelle manovre rianimatorie sono state fatte tenendo conto che Eligia era incinta di otto mesi?

E le macchie ipostatiche sul corpo di Giulia: perché si sono formate attorno alla parte superiore del corpo e non sul dorso dove sarebbero dovuto essere se Giulia fosse morta dopo Eligia e non quando Eligia era già ancora in piedi? Non mi sembra che il processo e la sentenza che mi ha condannato abbia risolto questi dubbi e non capisco perché non si siano tentate tutte le strade per arrivare alla verità vera.

Io non ho ucciso Eligia, né l’ho mai percossa e dopo quasi cinque anni non sappiamo perché è morta. Vi prego, aiutatemi a far sentire la mia voce. Io non potrò comparire in una trasmissione televisiva e probabilmente non sarà mai concesso il permesso di venirmi ad intervistare in carcere, ma almeno datemi voce attraverso questa mia lettera e attraverso i miei legali.

Ringrazio e mi scuso per questo sfogo.

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