Due anni senza Kata, la mamma della bimba scomparsa: “L’hanno rapita per farci lasciare l’hotel Astor”

Sono trascorsi due anni esatti dalla scomparsa della piccola Kata, la bambina di origine peruviana svanita nel nulla il 10 giugno 2023 dall’ex hotel Astor, a Firenze. Da quel sabato pomeriggio, di lei non si è più trovata traccia. Nonostante le indagini, le ricerche e i sospetti, Kata non è mai stata ritrovata e la verità su quanto accaduto rimane avvolta nel mistero. Ma la madre, Katherine Alvarez Vasquez, continua a cercarla, aggrappandosi a una convinzione che oggi è diventata denuncia pubblica: "Hanno rapito mia figlia per costringerci a lasciare l’Astor", ha dichiarato in un’intervista a Studio Aperto.
Le parole della mamma della bimba
Secondo quanto riferito dalla donna, la sua famiglia era stata messa sotto pressione nei giorni precedenti alla scomparsa, da parte di alcune persone che abitavano l’ex albergo occupato. Le era stato proposto del denaro in cambio dell’abbandono dell’immobile, ma lei aveva rifiutato perché non aveva alternative. Una settimana dopo il rapimento della bambina, l’Astor fu sgomberato. Per Katherine, non è una coincidenza: "Mi volevano fuori da lì, e non avendo altro modo, hanno preso mia figlia. Dopo la sua sparizione, l’immobile è stato liberato e messo all’asta".
Le sue parole gettano nuova luce su dinamiche complesse e sotterranee, legate all’occupazione dello stabile. Secondo la ricostruzione della procura e dei verbali finora emersi, l’ex hotel era stato occupato nel settembre 2022 su impulso del Movimento Lotta per la Casa, ma presto la gestione dell’immobile era sfuggita di mano. Un vero e proprio racket delle stanze si era instaurato all’interno, con la presenza di gruppi etnici ben definiti – in prevalenza peruviani e rumeni – e una convivenza tutt’altro che pacifica.
Proprio in questo contesto, la madre di Kata avanza la sua accusa: solo chi conosceva a fondo l’Astor poteva sapere dell’esistenza di un’uscita secondaria, non coperta dalle telecamere di sorveglianza, che si affacciava su via Monteverdi. Secondo gli inquirenti, è proprio da lì che la bambina sarebbe stata portata via, eludendo ogni controllo visivo. "Ma chi poteva sapere di quell’uscita se non qualcuno che abitava lì da tempo?", si chiede Katherine, convinta che la chiave del mistero sia da cercare proprio tra gli ex occupanti.

Le indagini della procura di Firenze sul caso di Kata
Nel frattempo, le indagini proseguono. La procura di Firenze ha escluso che la bambina si trovi ancora all’interno dell’ex hotel, e ha diffuso un nuovo identikit aggiornato per facilitare eventuali segnalazioni. Ma mancano prove, indizi concreti, e soprattutto risposte.
Tra le carte del processo sul racket delle stanze emergono testimonianze che confermano l’infiltrazione di interessi opachi all’interno dell’Astor. Una donna sudamericana ha raccontato alla polizia di essere stata contattata da una connazionale, tale Lira, che la informò dell’occupazione imminente e la invitò a prendere contatti con una donna italiana, probabilmente Marzia Mecocci, figura storica del movimento di lotta per la casa. In quelle prime riunioni, tenute nei pressi del Duomo, si pianificò l’occupazione. Nessuno, a detta dei testimoni, pagò per entrare. L’immobile era vuoto e presto si riempì solo di peruviani e rumeni.

In questo ambiente di precarietà e tensione, si sarebbe consumata la tragedia. La convinzione di Katherine è netta: chi ha portato via sua figlia conosceva bene le dinamiche interne all’ex hotel, i punti ciechi, le uscite nascoste. "Non voglio vendetta, voglio solo sapere la verità. E finché non ci sarà una prova che mi dice il contrario, io continuerò a credere che Kata è viva".