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Definire la figlia minorenne “sfigata” o “fallita” si può. Il giudice: “Metodi educativi legittimi”

La giovane, residente a Racale (Lecce) aveva denunciato i genitori ai carabinieri, spiegando di essere vittima di insulti, ma anche di violenze fisiche. Le indagini hanno accertato che gli episodi riferiti erano reali ma “salutati, limitati” e inseriti in un contesto “di presunti comportamenti scorretti” della ragazza, parlando comunque di un “intento educativo” di madre e padre. Alla fine la famiglia si è riappacificata, tornando a vivere sotto lo stesso tetto.
A cura di Biagio Chiariello
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Per il giudice del Tribunale di Lecce, Marcello Rizzo definire una figlia minorenne “sfigata” o “fallita” si può. Si tratta semplicemente di un modo educativo per correggerne i comportamenti scorretti, forse un po' eccessivo, così come riportato nelle motivazioni contestuali di una sentenza con cui una coppia di genitori, residente a Racale, è stata prosciolta dall’accusa di maltrattamenti in famiglia aggravati. Il magistrato ha chiarito che si è trattata di una volontà educativa e non un trattamento punitivo e offensivo.

Era stata la ragazza, minorenne allora come oggi, a denunciare i suoi genitori. "Mi offendono chiamandomi ‘sfigata', ‘fallita' e altro per i motivi più banali'". Ma non solo. La giovane sarebbe stata invitata più volte ad andarsene di casa casa, minacciata di morte con espressioni del tipo: “qualche giorno ti caccio via dal mondo” e, a suo dire, anche picchiata. Ua situazione insostenibile per la ragazza che, il 2 dicembre del 2019, ha così deciso di presentarsi in caserma per denunciare madre e padre. La presunta vittima ha poi confermato le accuse davanti ad una psicologa e per alcuni mesi è stata collocata anche in casa della nonna paterna.

Le indagini avrebbero peraltro confermato il clima di forte conflittualità tra figlia e genitori, in particolare con la madre nei mesi che hanno preceduto la denuncia sfociati anche in alcuni atteggiamenti aggressivi e minacciosi; la ragazza ha lamentato in particolare le espressioni ingiuriose e offensive rivoltele dalla genitrice ma scrive il giudice nelle motivazioni “non si può escludere che le condotte della madre seppur eccessive e inurbane fossero motivate da un intento educativo di presunti comportamenti scorretti della figlia".

La minore ha lamentato anche di essere stata percossa in famiglia, ma per il giudice gli episodi “sono stati saltuari e limitati ad un ristretto periodo di tempo e ciò fa ritenere non provata la abitualità delle condotte di violenza e di minaccia necessarie per la integrazione del reato di maltrattamenti”. Nel frattempo i genitori e la figlia si sono riconciliati tornando a vivere sotto lo stesso tetto “il che, a parere del giudice, contribuisce a ritenere che un futuro dibattimento nulla potrebbe aggiungere al quadro già emergente dagli atti che come detto appare insufficiente a fondare un giudizio di responsabilità”.

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