
Non giriamoci attorno: quando un chilo di esplosivo esplode sotto l’auto di uno dei più importanti giornalisti d’inchiesta italiani, venti minuti dopo che accanto a quell’auto ci era passata la figlia, siamo a un livello di minaccia completamente fuori scala, per una democrazia.
Questo è quel che è successo a Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, già sotto scorta da anni per minacce mafiose, alla vigilia dell’inizio della nuova stagione del suo programma. E già basterebbe così, se ci pensate. Già sarebbe grave abbastanza, se Ranucci, come dovrebbe essere in una democrazia, fosse un giornalista temuto, ma tutelato dalle istituzioni.
E invece, spiace ricordarlo in queste occasioni, Sigfrido Ranucci è da anni oggetto di una campagna di denigrazione che ha pochi eguali, ha denunciato operazioni di spionaggio ai suoi danni, si è visto tagliare le puntate di Report nonostante gli ottimi ascolti della trasmissione. Minacce e intimidazioni, cui si aggiunge l’irrisione subita solo due anni fa in Commissione di Vigilanza Rai – quando ancora si riuniva – dal senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che per minimizzare le minacce subite dal giornalista Rai gli aveva offerto una boccetta di cognac “Se ha bisogno di farsi coraggio”. Lui stesso, nel commentare l'attentato, ha parlato di un clima di "isolamento e delegittimazione" nei suoi confronti, che dura da mesi. Isolamento e delegittimazione: ricordiamocele, queste due parole.
Stamattina la solidarietà del governo, da Meloni e da Crosetto, è arrivata immediatamente. In particolare, la presidente del consiglio, ha espresso "piena solidarietà al giornalista Sigfrido Ranucci e la più ferma condanna per il grave atto intimidatorio da lui subito”. A questa solidarietà , con rispetto, si accoda la nostra, quella di tutta la redazione e di tutte le giornaliste e i giornalisti di Fanpage.it.
Ha aggiunto, Meloni, che “la libertà e l'indipendenza dell'informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere" e noi vogliamo credere davvero a queste parole. Che siano davvero un nuovo inizio dopo anni a parlare del giornalismo d’inchiesta sotto copertura come“metodo da regime”, a rubricare lo spionaggio di giornalisti come “cose poco importanti”, a non dire una parola quando una collega si ritrova una testa di capretto sotto casa com’è successo alla nostra collega Giorgia Venturini, a non spendere una parola di vicinanza quando dei colleghi vengono imprigionati da un Paese straniero, in acque internazionali, senza alcuna ipotesi di reato a loro carico, com'è successo a Lorenzo D'Agostino, Alessandro Mantovani, Emanuela Pala, Barbara Schiavulli, Saverio Tommasi (e mi scuso se me ne sono dimenticato qualcuno).
Il giornalismo, e in particolare il giornalismo d’inchiesta, sono il canarino nella miniera di qualunque democrazia. Quando funzionano, quando sono tutelati, quando riescono a rompere le scatole al potere e al malaffare più di quanto il potere e il malaffare le rompano a loro, allora la democrazia è in salute. Quando accade il contrario, allora dobbiamo iniziare a preoccuparci tutti. Non solo i giornalisti d’inchiesta. Non solo i giornalisti. Tutti. Nessuno escluso. Nessuna esclusa.
