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“Convertita all’Islam per salvarmi”: Edith Blais racconta la prigionia in un libro

Rapita con il fidanzato italiano Luca Tacchetto in Burkina Faso, Edith Blais racconta i 15 mesi di prigionia in un libro. “Quando siamo scappati non sapevamo del Coronavirus. Ce ne ha parlato per la prima volta un delegato dell’Onu che ci ha salutato porgendoci il gomito”. Nel romanzo “Le Sablier” racconta la conversione e la fuga proposta da Luca nel cuore della notte.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Luca Tacchetto e Edith Blais (Facebook).
Luca Tacchetto e Edith Blais (Facebook).

Ha incontrato il fidanzato Luca Tacchetto nel 2016 a Jasper. Un vero e proprio colpo di fulmine. Diversi viaggi insieme, poi hanno deciso di andare verso l'Africa centrale in auto. In Burkina Faso Edith Blais, canadese, viene rapita insieme al suo compagno all'interno del parco degli Elefanti. Nel libro "Le Sablier" che uscirà tra pochi giorni in Francia, la ragazza descrive quel momento come un assalto di sei uomini in turbante, armati di kalashnikov. Quattro di loro hanno puntato le pistole contro il giovane italiano. Da allora, i due ragazzi sono stati per 15 mesi ostaggio di diverse bande di rapitori, alcune composte da bimbi soldato. "C'erano ragazzi dai 13 ai 15 anni, militari in miniatura con in mano armi", descrive la ragazza. Il 4 marzo del 2019, 79 giorni dopo il rapimento, i due fidanzati vengono separati.

A quel punto, i nuovi sequestratori avrebbero costretto Edith alla conversione all'Islam e lei finge di accettare. "Mi sono lavata e ho indossato il hijab. Dovevo sopravvivere e la conversione era la soluzione in quel momento. Oggi non ho conservato nulla di quella religione". Accetta quindi il cambio di culto con la prospettiva di salvarsi la vita e poi, dopo undici mesi, Edith e Luca possono riunirsi. Il ragazzo, poi, avrebbe progettato la fuga nonostante i rapporti con i diplomatici canadesi e italiani fossero comunque fitti nel periodo di prigionia. Questo, almeno, è quanto Edith racconta nel suo libro.

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"Abbiamo camminato a lungo a piedi una volta scappati – spiega – e lungo la strada abbiamo intercettato un camion che ci ha portati fino a Kidal, davanti a un edificio governativo. Da lì vengono poi portati in aereo fino a Bamako, capitale del Mali, dove incontrano finalmente un delegato dell'Onu. "Avrei voluto stringergli la mano – scrive la ragazza nel libro – ma lui ci ha offerto il gomito. L'ambasciatore ha capito che non sapevamo nulla e ci ha parlato per la prima volta del Coronavirus e della pandemia".

La fuga

Luca, secondo quanto Edith riporta nel suo libro, le avrebbe raccontato della presenza di altri ostaggi lì dove era stato portato durante la separazione dalla sua compagna. Aveva già tentato la fuga, ma il tutto era terminato dopo aver percorso 30 km. Racconta di esser stato riportato al campo e colpito con un bastone, poi lasciato al sole per giorni. Per altri due mesi è stato tenuto con le catene alle caviglie, giorno e notte. Proprio lui, ricongiunto alla compagna, ci riprova. "Prese un bastone e disegnò la mappa del Mali – spiega -. L'idea era raggiungere la strada per Kidal e chiedere aiuto. I due, favoriti dal buio, raggiungono un'area rocciosa cancellando le tracce dietro di loro e poi camminano per decine di chilometri, orientandosi con le stelle.

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