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Guerra in Ucraina

Russia-Ucraina, come accogliere in Italia i bambini in fuga (e le loro mamme)

Cristina Riccardi, vicepresidente e responsabile del servizio affidi di Ai.Bi. Amici dei Bambini, ha spiegato a Fanpage.it come aiutare i bambini ucraini che fuggono alla guerra: “No ad adozioni e affidi. Accogliere questi bambini è dare una disponibilità temporanea sapendo che può durare un mese o un anno”.
A cura di Ida Artiaco
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Continua ad aumentare il numero di bambini che, da soli o accompagnati da un genitore, lasciano l'Ucraina per sfuggire alla guerra. Secondo gli ultimi dati Unicef, 1,4 milioni di minori sono fuggiti da quando l'invasione russa è iniziata lo scorso 24 febbraio. "In media, ogni giorno negli ultimi 20 giorni in Ucraina, più di 70.000 bambini sono diventati rifugiati, essenzialmente un bambino che diventa rifugiato ogni minuto dall'inizio del conflitto", ha detto James Elder, portavoce dell'agenzia Onu per l'infanzia. Per questo, anche in Italia sono sempre più numerose le famiglie che si stanno attrezzando per dare una mano ai bambini ucraini e alle loro mamme.

Per capire come si muove la solidarietà nel nostro Paese, Fanpage.it si è rivolta ad Ai.Bi. Amici dei Bambini, una delle associazioni italiane che subito si è mossa per l'accoglienza dei bambini ucraini. Cristina Riccardi, vicepresidente e responsabile del servizio affidi di Ai.Bi., ha spiegato perché al momento né l'adozione né l'affido sono una buona idea.

Cristina, cosa possono fare le famiglie italiane per aiutare i profughi ucraini?

"In questo momento il grande arrivo è fatto di mamme con bambini, donne che hanno lasciato in Ucraina i propri mariti che per altro non possono uscire dal Paese, che sono scappate con i figli e che vengono in Italia per raggiungere parenti e amici che si trovano nelle comunità ucraine oppure chiedono aiuto alle varie reti associative e alle parrocchie che si sono attivate. C'è confusione e disordine. Di fatto ora arrivano richieste dirette di queste mamme, che noi cerchiamo di accogliere in strutture che ci sono state messe a disposizione sia da privati che da suore che hanno spazi vuoti. E qui facciamo una prima accoglienza per immaginare poi, dopo averle conosciute un po', averle fatte riposare e aver sistemato i documenti, anche un inserimento in una delle famiglie che ci hanno dato la disponibilità di una stanza all'interno della propria abitazione. Ne verifichiamo la serietà e cerchiamo di capire che prospettive hanno. Molte di queste donne, per altro, hanno la volontà di voler tornare quando finirà tutto, si sono allontanate per cercare sicurezza ma vogliono poi ricostruire la propria vita perché si tratta di persone che nel loro contesto erano inserite, avevano un lavoro".

Come arrivano?

"Arrivano da viaggi lunghissimi, le più fortunate lo fanno con un proprio mezzo ma comunque dopo giorni e giorni, altre invece arrivano in bus dopo aver fatto giri pazzeschi attraverso l'Europa. Sono stanche e provate e nel momento in cui si fermano spesso piangono. I bambini sono spaventati, con sguardi pieni di paura. Abbiamo visto due tipi di reazione: bimbi che arrivano sfiniti e dormono, oppure bimbi che fanno fatica a trovare tranquillità. Le mamme con i bimbi che abbiamo accolto si stanno già inserendo, i bimbi vanno a scuola, stiamo cercando di far recuperare loro la dimensione dell'infanzia. Lo stesso stiamo facendo nei cambi profughi, siamo presenti in Romania e Moldavia, dove ci occupiamo della primissima accoglienza dando supporto psicologico e di animazione ai bambini presenti".

Cosa succede invece ai bambini che arrivano al confine da soli?

"Noi non siamo ancora riusciti come AI.BI. a intercettare questo flusso. Ci preoccupa molto, perché alcune famiglie che seguiamo ci hanno segnalato messaggi Whatsapp in cui si annunciava l'arrivo di bambini dall'estero: "Chi vuole può mettersi in contatto con noi", si leggeva. Vorremmo capire chi prende queste iniziative e soprattutto allertare le famiglie perché è pericoloso. Qualora qualcuno accogliesse o avesse accolto un bambino con questa modalità deve immediatamente farne denuncia alla Questura in modo che si attivi il percorso di tutela per il minore, altrimenti è un bambino che non sarà nessuno, non potrà andare a scuola o avere una copertura sanitaria, oltre ad esserci possibili conseguenze anche penali. Su questo noi ci stiamo allertando e stiamo cercando di capire come fare a intervenire, chiedendo alle Istituzioni in modo forte che venga indicato il modo, perché è importante che vengano date delle linee di azione precise a tutti coloro che si occupano di accogliere e accompagnare in Italia bambini e adulti. C'è ancora un po' di confusione".

Dunque, al momento chi vuole dare una mano può muoversi in questo modo, senza ricorrere all'adozione o all'affido?

"Adozioni assolutamente no. Anche perché l'adozione internazionale richiede tutto un iter che credo in queste situazioni venga sospeso. Accogliere questi bambini vuol dire ora dare una disponibilità temporanea sapendo che può durare un mese o un anno. Il tema è accoglierli finché ce ne è bisogno".

Come preparate le famiglie che intendono accogliere questi soggetti?

"Noi abbiamo proposto una serie di webinar serali di tipo informativo per raccontare alle famiglie che stanno donando il loro cuore cosa implica concretamente l'accoglienza in questo momento. Perché è importante farlo, ma anche farlo in modo consapevole. Stiamo spiegando da che situazione queste persone arrivano, accenniamo gli aspetti amministrativi ed emotivi della loro condizione. Poi per chi desidera procedere organizziamo corsi di formazione di 7 o 8 ore in cui si daranno gli strumenti per fare un ulteriore passo verso la disponibilità. Credo che funzioni perché ci stiamo rendendo conto che a fronte di almeno un migliaio di famiglie che in queste due settimane hanno partecipato ai webinar, un numero ancora basso ci conferma la propria disponibilità. La consapevolezza è fondamentale".

Quanti bambini avete già aiutato in Italia?

"Ad oggi una trentina di bambini e otto mamme. l nostro metodo sarebbe prima di raccoglierli in un luogo e poi portali nelle famiglie. Mamme con bambini li abbiamo inseriti in appartamenti che i privati ci hanno messo a disposizione, non ancora in famiglia perché ci teniamo a che siano formati perché la convivenza può essere molto dura".

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