Clinica fantasma per il trapianto di capelli: donna in coma, due indagato ad Arezzo

Un caso che getta ombre inquietanti sul settore della chirurgia estetica "low cost" è emerso ad Arezzo, dove una 56enne è finita in coma dopo un presunto intervento di trapianto del cuoio capelluto eseguito in uno studio medico del centro cittadino, poi rivelatosi privo delle necessarie autorizzazioni. A finire sotto accusa sono una 40enne sudamericana e il medico titolare dello studio, entrambi denunciati per esercizio abusivo della professione medica e lesioni personali colpose gravissime.
Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Procura della Repubblica di Arezzo, hanno permesso di delineare un quadro dettagliato di quanto avveniva dietro la porta dell’ambulatorio. Come precisa la Questura, "le indagini, condotte dalla Polizia di Stato sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Arezzo, hanno permesso di accertare lo svolgimento di attività sanitarie abusive all'interno di uno studio medico del centro di Arezzo, dove sono stati praticati interventi di trapianto al cuoio capelluto in assenza di personale abilitato e delle prescritte autorizzazioni previste dalla legge".
La paziente in fin di vita dopo l’anestesia
L’inchiesta è scattata quando una donna è stata trasportata in condizioni disperate al Pronto soccorso dell’ospedale San Donato. Reduce da un trattamento pubblicizzato come un semplice rinfoltimento dei capelli, la paziente era invece stata sottoposta a una vera operazione di microchirurgia. Come ricostruito dagli investigatori, aveva riportato una grave infezione "sorta al momento dell’anestesia somministrata nel corso dell’intervento", tanto da necessitare rianimazione e giorni di terapia intensiva.
Una volta stabilizzata, la donna ha raccontato agli agenti l'accaduto, confermando la volontà di sporgere denuncia. La Squadra Mobile ha acquisito la cartella clinica, ascoltato testimoni e sequestrato documenti utili "volti a chiarire l’esistenza della clinica non autorizzata e chi avesse materialmente eseguito l’intervento al cuoio capelluto".
Una laurea non riconosciuta e interventi pubblicizzati sui social
Secondo gli inquirenti, a eseguire materialmente gli interventi era una 40enne sudamericana, laureata in medicina nel Paese d’origine ma senza alcun titolo valido in Italia. Nonostante ciò operava in totale autonomia, sfruttando una stanza messa a disposizione all’interno dello studio e presentandosi ai clienti come professionista qualificata. Gli interventi erano pubblicizzati anche sui social come trattamenti estetici e non come atti medici invasivi, attirando persone convinte della loro innocuità.
La Questura spiega che le prestazioni venivano promosse come semplici tecniche di rinfoltimento, "ma di fatto, consistevano in vere e proprie operazioni di microchirurgia, eseguite con strumenti medici e anestetici locali, da un’operatrice priva dei titoli e delle competenze necessarie, ma soprattutto senza l’assistenza di un professionista sanitario qualificato".
Alcune pazienti hanno riferito agli investigatori di essere state rassicurate sulla sicurezza delle procedure e sulla presunta abilitazione della donna.
Il ruolo del medico titolare dello studio
Elemento non secondario emerso durante le verifiche è la posizione del medico titolare dello studio, che avrebbe permesso alla donna di operare pur essendo consapevole dell’assenza di un titolo riconosciuto in Italia. Una scelta che, secondo gli inquirenti, ha esposto numerosi pazienti a gravi rischi.
In un sopralluogo, gli agenti hanno trovato postazioni chirurgiche, materiale sanitario e perfino un’insegna della società riconducibile all’indagata, pubblicizzata online e rimossa solo dopo il caso della paziente finita in coma.