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Omicidio Chiara Poggi: il delitto di Garlasco

Chiara Poggi, l’ex comandante di Garlasco: “Indagini mai fatte a 360 gradi, Stasi forse è innocente”

Francesco Marchetto, primo investigatore sul caso dell’omicidio di Chiara Poggi, torna a parlare dopo 18 anni: “Scene caotiche, piste ignorate e pressioni. Così è stato compromesso tutto”. E a Storie Italiane rilancia: “Alberto Stasi forse non è colpevole, si indaghi su altri”.
A cura di Biagio Chiariello
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"Secondo me, le indagini non sono mai state condotte a 360 gradi. E ora bisogna capire se è stato per inesperienza o per volontà". Così Francesco Marchetto, ex comandante della stazione dei carabinieri di Garlasco e tra i primi a intervenire sulla scena del delitto di Chiara Poggi, è tornato a parlare del caso – recentemente riaperto –  in una lunga intervista a Storie Italiane, su Rai1, con Eleonora Daniele.

Marchetto ha ripercorso i primi momenti dell’indagine, definendoli caotici. "Quando sono entrato nella casa di Chiara, la prima cosa che mi ha colpito – e non in positivo – è stato il numero di persone presenti. Un vero e proprio caos. Sembrava un mercato del sabato a Garlasco. Siamo partiti col piede sbagliato".

L’ex comandante ha raccontato anche un passaggio cruciale legato al capannone del padre di Alberto Stasi.

Mi recai lì e, appena arrivato, notai che dovette disattivare un sistema d’allarme. Poi mi mostrò la bicicletta che non corrispondeva alle descrizioni della signora Bermani. Tornati in caserma, due giorni dopo, il magistrato firmò un decreto di perquisizione per Alberto, esteso a ogni luogo a lui riconducibile. Eppure nessuno perquisì quel capannone".

Marchetto chiese anche che un tecnico esaminasse l’impianto d’allarme, ma l’intervento avvenne solo un mese e mezzo dopo, a dati ormai cancellati. "Il 25 agosto – aggiunge – la Bermani fece un’integrazione verbale, precisando nuovi dettagli sulla bicicletta. Ma nessuno tornò a verificarla".

Su Alberto Stasi, poi condannato in via definitiva, Marchetto ha ammesso:

"All’inizio pensavo fosse lui il colpevole. Ma quando gli chiesi che volto avesse Chiara, mi rispose: ‘Pulito'. Eppure Chiara era una maschera di sangue. Mi colpì. Pensai che forse non si era nemmeno avvicinato al corpo. Me lo immagino entrare, vedere il sangue e scappare. Nella sua chiamata al 118 non dice che è morta, dice ‘potrebbe essere morta'".

Poi un passaggio importante sulla testimonianza di Giuseppe Muschitta, il supertestimone che parlò di una ragazza in bicicletta con il caschetto nei pressi della casa dei Poggi. "Fornì dettagli noti solo agli inquirenti, come un piccolo SUV nero parcheggiato sul lato sinistro. Lo stesso veicolo era stato segnalato da un commerciante locale. Ma nessuno chiese di perquisire, né seguì quella pista".

Infine, un riferimento alla morte del meccanico Ferri, che secondo alcune ipotesi avrebbe potuto vedere qualcosa di cruciale.

Sfido chiunque a dire che si sia suicidato in un anfratto di 50 cm tagliandosi polsi e collo, senza che si sia mai trovata l’arma. Un collegamento c’è. Serviva un’indagine a tutto campo, ma non è mai stata fatta".

Marchetto chiude con amarezza. "Dopo 18 anni, spero si trovi finalmente il vero colpevole. Se dovesse emergere la responsabilità di qualcun altro, è inevitabile che questo scagionerebbe Stasi. La gente, quando mi incontra, mi dice: ‘Ma perché non si è indagato su quella famiglia?', riferendosi a una persona coincidente con la descrizione del testimone. E da lì sono iniziati i miei problemi: sono stato estromesso dalle indagini, ho avuto crisi depressive. C’era chi cercava in ogni modo di farmi del male. E alla fine, ci è riuscito".

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