Chi è Robert Prevost, il possibile primo Papa americano e perché il suo nome sta emergendo dal Conclave

Dal 4 luglio 1776, giorno dell'Indipendenza degli Stati Uniti dal Regno di Gran Bretagna, gli USA non hanno mai espresso un Papa; si tratta evidentemente di un'anomalia per un Paese che nell'ultimo secolo si è imposto come la principale potenza globale sia a livello economico che militare. La giovane storia degli USA ha certamente contribuito a questa situazione (solo una ventina di papi sono stati eletti dopo il 1776), ma dopo la morte di Francesco aumentano le voci che questa potrebbe essere la volta buona per un Pontefice a "stelle e strisce".
Tra i prelati riuniti in Vaticano c’è anche monsignor Robert Barron, vescovo della diocesi di Winona–Rochester in Minnesota, recentemente nominato da Donald Trump nella nuova Commissione della Casa Bianca per la Libertà Religiosa. Intervenendo nei giorni scorsi, Barron ha offerto una riflessione sul motivo per cui, fino ad oggi, nessun americano sia salito al soglio pontificio. "Il cardinale Francis George, uno dei miei grandi mentori, diceva che finché l’America non sarà in declino politico, non vedremo un Papa americano", ha ricordato Barron. "L’idea è che, essendo già una superpotenza dominante a livello politico, culturale ed economico, il mondo non è pronto a vederci guidare anche la Chiesa universale".
Ebbene, secondo molti osservatori il declino dell'egemonia statunitense nel mondo sarebbe iniziato da anni, come dimostra l'inarrestabile ascesa della Cina e di altri Paesi dei BRICS. Per questa ragione tra le indiscrezioni di questi giorni, un nome statunitense sta iniziando a circolare con insistenza tra i papabili: quello del cardinale Robert Prevost. Nato a Chicago e oggi a capo del potente Dicastero per i Vescovi, Prevost ha attualmente il compito di nominare i nuovi pastori della Chiesa – un ruolo che ne rafforza il profilo in vista di una possibile elezione al pontificato. A suo favore gioca anche la doppia cittadinanza. Oltre a quella statunitense, Prevost è anche cittadino peruviano, avendo servito per anni in America Latina. Un elemento che potrebbe aiutare a smorzare le riserve di chi teme un’eccessiva "americanizzazione" della Chiesa.

Politicamente, Prevost viene percepito come un centrista, ma su alcune tematiche sociali ha mostrato aperture considerate progressiste. Come spiega The College of Cardinals Report, "su temi chiave, il Cardinale Prevost parla poco, ma alcune sue posizioni sono note. Sarebbe molto vicino alla visione di Papa Francesco riguardo all’ambiente, all’attenzione verso i poveri e i migranti, e all’incontro con le persone là dove si trovano. L’anno scorso ha dichiarato: ‘Il vescovo non dovrebbe essere un piccolo principe seduto nel suo regno'. Ha sostenuto la modifica della prassi pastorale voluta da Papa Francesco per permettere ai cattolici divorziati e risposati civilmente di ricevere la Santa Comunione. Prevost appare lievemente meno favorevole rispetto a Francesco nel cercare il favore della lobby LGBTQ, ma ha mostrato un moderato sostegno a Fiducia Supplicans".
Due vicende legate agli abusi sessuali del clero hanno lambito la figura di Prevost. La prima risale ai primi anni 2000, quando, da provinciale agostiniano a Chicago, fu coinvolto in un caso di ospitalità a un sacerdote già condannato per pedofilia. Più recentemente, durante il suo episcopato a Chiclayo (Perù), è stato accusato di aver gestito con scarsa trasparenza un’indagine su due sacerdoti accusati di molestie. La diocesi ha replicato affermando che Prevost seguì le corrette procedure canoniche, ascoltò le vittime e trasmise i dossier al Dicastero per la Dottrina della Fede.
Nonostante queste ombre, Prevost è visto come un possibile candidato di compromesso al Conclave in corso, grazie al suo profilo internazionale e alla lunga missione in America Latina. Tuttavia, il suo recente cardinalato e la giovane età potrebbero ridimensionarne le chance effettive.