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Guerra in Ucraina

Chernobyl senza elettricità, l’esperto spiega i rischi reali legati al controllo russo della centrale

Nicola Armaroli, dirigente del Cnr e accademico delle Scienze, a Fanpage.it: “La mancanza di elettricità alla centrale nucleare di Chernobyl non ha nulla a che vedere col raffreddamento ma potrebbe impedirne il monitoraggio che deve esserci 24 ore al giorno. Al momento lo scenario più preoccupante è quello di non controllo degli impianti ancora in funzione”.
Intervista al Dott. Nicola Armaroli
Dirigente del Cnr e Accademico delle Scienze.
A cura di Ida Artiaco
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"Per quanto riguarda Chernobyl, io non credo ci sia la necessità di raffreddare qualcosa, perché l'ultimo reattore è stato spento 20 anni fa. Però c'è un impianto che va monitorato 24 ore su 24 e  tutti i giorni dell'anno. E per fare questo c'è bisogno di elettricità. Al momento, però, credo che lo scenario più preoccupante sia quello di non controllo delle centrali nucleari ancora in funzione". A parlare a Fanpage.it è Nicola Armaroli, dirigente del Cnr e accademico delle Scienze, che ci ha spiegato quali sono i maggiori rischi legati agli ultimi sviluppi relativi al controllo russo della centrale di Chernobyl, in Ucraina. Come ha confermato oggi il ministro degli Esteri Dmitry Kuleba, l'impianto "è privo di energia elettrica e questo provocherà l'interruzione del sistema di raffreddamento, con il rischio di fuga di radiazioni".

Nicola Armaroli (Facebook).
Nicola Armaroli (Facebook).

Dott. Armaroli, quale il rischio reale che si corre considerando questa situazione?

"La premessa da fare è che non sappiamo esattamente cosa sta succedendo a Chernobyl, dal momento che in un teatro di guerra entrambi i contendenti sono una macchina di propaganda. Di certo, i russi hanno preso il controllo della ex centrale nucleare e del personale ucraino a fine febbraio. Nell'impianto c'è il reattore numero 4 che esplose nel 1986 e creò l'incubo nucleare in tutta Europa. Quel maledetto reattore fu sepolto sotto un sarcofago di cemento e acciaio che però nel tempo si è rivelato inadeguato a mantenere nel tempo le condizioni di sicurezza. Nel 2016, pagato in gran parte da Ue e Usa, è stato eretto un nuovo enorme edifico di contenimento, probabilmente la più grande opera di cemento e acciaio al mondo, al di sopra del vecchio sarcofago.Qualche mese fa si è notata che una emissione anomala di neutroni dal sarcofago, che indica un potenziale risveglio dei processi nucleari nel relitto del reattore, che contiene ancora centinaia di tonnellate di materiali radioattivi. È un impianto che deve essere monitorato 24 ore su 24. È chiaro che il monitoraggio non si fa manualmente, ma con dispositivi che funzionano a elettricità".

Quindi il pericolo derivato dalla mancanza di elettricità non è direttamente collegato al sistema di raffreddamento?

"Sul raffreddamento è ragionevole pensare che non vi sia più combustibile esausto bollente da raffreddare. A Chernobyl vi erano 4 reattori, uno è esploso, ne rimasero altri 3 che continuarono a funzionare per anni. L'ultimo è stato messo in shutdown, cioè è stato disconnesso, nel 2000: sono passati più di 20 anni. Quindi non credo ci sia esigenza immediata di raffreddare materiale nucleare in quel contesto, ma c'è sicuramente necessità di avere elettricità per tenere costantemente sotto controllo l'impianto con tutti i dispositivi di sicurezza in funzione. In questo momento i russi impediscono l'accesso all’impianto anche all'AIEA , il che è un problema. Però non vedrei rischi immediati".

Cosa ci può dire circa la radioattività del sito?

"Il pericolo di radioattività ci sarebbe solo se qualche sconsiderato lanciasse un attacco missilistico sui sistemi di protezione del reattore 4 o sui depositi che contengono materiali radioattivi o contaminati, perché laggiù gli elementi di radioattività ce ne sono ancora e parecchi, così come a Fukushima. I resti dei reattori che hanno subito gli incidenti catastrofici sono ancora là. Non ci si può avvicinare a lungo per decenni, solo i robot possono farlo".

Secondo l'Isin però la preoccupazione più grande le centrali ancora in funzione…

"I russi mirano a conquistare le grandi centrali nucleari, idroelettriche e termoelettriche perché se controlli l'elettricità controlli un Paese. È il servizio essenziale per eccellenza. Concordo che il vero problema sono le centrali attive, che necessitano di elettricità per garantire il raffreddamento del nocciolo, che è ad altissima temperatura perché sta funzionando. Questo è un rischio vero".

Che scenari ci troviamo davanti?

"Ce ne sono due. Il primo è che potrebbe ripresentarsi una situazione tipo Chernobyl, che però si potrebbe verificare solo in caso di attacco missilistico deliberato. Ma questa sarebbe una follia. Va comunque detto che le centrali attualmente in funzione come quella di Zaporizhzhia hanno un robusto guscio in cemento e di acciaio che protegge il cuore del reattore e che Chernobyl non aveva. Ma non sono comunque state  progettate per reggere un attacco missilistico in grande stile. Quindi nel caso in cui un missile colpisca l'impianto, lo scenario è totalmente imprevedibile nelle conseguenze potenziali. Però ripeto, ci vorrebbe un pazzo scatenato a fare una cosa del genere. Più probabile è il rischio di un meltdown tipo Fukushima dato dalla mancanza di elettricità. In Giappone la centrale resse al terremoto, ma lo tsunami scavalcò le mura e allagò l'impianto, mettendo fuori uso anche i generatori diesel che dovevano garantire il raffreddamento della centrale stessa in emergenza. Qui potrebbe accadere la stessa cosa, solo che il potenziale tsunami è l'esercito russo. E non possiamo escludere l'ipotesi di sabotaggio come arma della disperazione. In queste centrali deve sempre arrivare l'elettricità, deve esserci riciclo dell'acqua nell'impianto in modo da garantire il raffreddamento. Deve esserci personale lucido e preparato, cosa non garantibile in guerra. È questo lo scenario più preoccupante del primo, cioè il la mancanza di un controllo totale sulle centrali ancora in funzione".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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