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Diffusero foto osé inviate dall’amica 14enne, per la Cassazione non è reato

I giudici della suprema Corte hanno assolto definitivamente dieci minorenni abruzzesi accusati di aver diffuso scatti osé ricevuti da una loro amica 14enne.
A cura di Antonio Palma
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Se un minore inviata scatti privati hot ad amici e conoscenti e questi ultimi li diffondono a loro volta ad altri non rischiano nulla perché non stanno commettendo alcun reato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione ricordando di fatto ai ragazzini che inviare autoscatti hard può essere pericolosissimo perché non c'è nessuna sanzione a fare da deterrente. La suprema corte in particolare era stata chiamata a dirimere il caso di dieci ragazzi minorenni abruzzesi (sei femmine e quattro maschi) che avevano girato ad altri via telefono i selfie osé ricevuti dalla loro amica 14enne. Dopo lo scandalo e l'individuazione da parte dei carabinieri, i dieci ragazzi erano stati assolti dal Tribunale dei minori dell'Aquila con una sentenza di non luogo a procedere per il reato di diffusione di materiale pedopornografico.

La Procura del capoluogo abruzzese però aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo l'annullamento del proscioglimento per i dieci minorenni e sostenendo che andava punito il "materiale raffigurante un minore tout court, indipendentemente da chi e come l'abbia prodotto (quindi, anche nel caso in cui sia stato realizzato autonomamente dal minore medesimo)". Gli Ermellini però sono stati di diverso avviso respingendo il ricorso e assolvendo definitivamente i dieci ragazzi.

Per la Cassazione infatti le norme contro lo sfruttamento sessuale dei minori non puniscono la diffusione di "materiale pornografico minorile ‘ex sè, quale ne sia la fonte, anche autonoma, ma soltanto materiale alla cui origine vi sia stato l'utilizzo di un infradiciottenne, necessariamente da parte di un terzo, con il pericolo concreto di diffusione del prodotto medesimo". "Presupposto logico prima che giuridico della ‘ratio' che punisce chi diffonde immagini pedopornografiche è che tale soggetto sia altro e diverso rispetto al minore da lui sfruttato o utilizzato, indipendentemente dal fine, di lucro o meno, che lo anima e dall'eventuale consenso, del tutto irrilevante, che il minore stesso possa aver prestato all'altrui produzione del materiale o realizzazione degli spettacoli pornografici" si legge nella sentenza della Quinta sezione penale.

"Alterità e diversità che, quindi non potranno ravvisarsi qualora il materiale medesimo sia realizzato dallo stesso minore, in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto" hanno sottolineato i giudici della Suprema Corte. In definitiva per i giudici "la punibilità della cessione è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico sia stato realizzato da terzi, utilizzando minori, senza che dunque le due figure possano in alcun modo coincidere".

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