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Caso Regeni, news sulle indagini

Regeni torturato con lame e bastoni, chiuse le indagini: quattro 007 egiziani verso il processo

I quattro agenti egiziani erano stai individuati dai carabinieri come principali responsabili dell’arresto di Regeni. A rischiare il processo sono ora il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Tutti sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti dell’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
A cura di Antonio Palma
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Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravato, sono questi i reati ipotizzati dalla Procura di Roma e di cui devono rispondere quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani accusati di aver partecipato al rapimento e all’omicidio di Giulio Regeni. Il pm della procura capitolina infatti hanno chiuso le indagini sulla morte del giovane ricercatore italiano, catturato nel 2016 in Egitto mentre era impegnato in una ricerca sociale per conto dell’università e morto in una cella di sicurezza, emettendo quattro avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti agenti dei servizi egiziani. Per un quinto agente i pm capitolini hanno chiesto invece l’archiviazione.

Regeni torturato con lame e bastoni

La conclusione dell’indagine arriva a due anni di distanza dall'iscrizione sul registro degli indagati degli 007 del Paese nordafricano. I quattro agenti egiziani erano stai individuati dai carabinieri come principali responsabili dell’arresto di Regeni come presunta spia e del suo interrogatorio poi concluso con l’omicidio. Le lunghissime e complicatissime indagini sono state svolte dai carabinieri del Ros e dei poliziotti dello Sco con grandissime difficoltà. Secondo la ricostruzione, Regeni sarebbe stato sottoposto a sevizie durate giorni che causarono al giovane "acute sofferenze fisiche" messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni.

I quattro militari accusati

A rischiare il processo sono ora il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Tutti sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti dell'ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato. Chiesta l'archiviazione invece per Mahmoud Najem perché non sono stati raccolti elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio. Ovviamente sarà impossibile portare in Italia i militari egiziani visto che le autorità locali hanno già avanzato accuse sulla condotta dei magistrati italiani attirando l'ira degli stessi genitori di Regeni che hanno chiesto all'Italia il richiamo dell’ambasciatore dall’Egitto. La stessa notifica di conclusione indagini è avvenuta "con rito degli irreperibili" direttamente ai difensori di ufficio non essendo mai pervenuto il domicilio degli indagati dal Cairo. La procura è sicura inoltre che i quattro non siano i soli responsabili della morte di Regeni ma la mancata collaborazione delle autorità del Cairo, che non hanno risposto alle rogatorie, non ha permesso di ricostruire completamente quanto accaduto.

Testimoni: "Giulio Regeni ammanettato e con segni tortura"

Al centro dell'inchiesta dei pm romani le testimonianze di alcuni detenuti che hanno visto Regeni in cella ammanettato e con segni tortura. Rintracciati in Egitto  ed ascoltati hanno raccontato degli abusi subiti dal ricercatore. "Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace" ha rivelato uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni. La sua testimonianza è stata citata oggi dal pm Sergio Colaiocco nel corso dell'audizione davanti alla commissione di inchiesta sulla morte del giovane ricercatore italiano. "Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso. È una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c'è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C'erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati anni ricordo quella scena. L'ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui" ha rivelato un altro testimone.

Legale Famiglia Regeni: "Un punto di partenza, ci sono voluti cinque anni"

"I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi. E questo ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa, affinché dimostrino che la giustizia non è barattabile. Questo è un punto di partenza, ci sono voluti cinque anni" ha dichiarato in conferenza stampa alla Camera il legale della famiglia Regeni, l'avvocato Alessandra Ballarin.

Madre Regeni: "La nostra lotta è diventata di civiltà"

"Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. Oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l'Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civiltà per i diritti umani, che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umani in Egitto ogni giorno" ha detto in conferenza stampa alla Camera Paola Regeni, madre di Giulio dopo le notizie della conclusione delle indagini.

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