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Omicidio Giulio Regeni

Sette anni fa il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni in Egitto, Amnesty: “Fu omicidio di Stato”

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, a Fanpage.it nel giorno del settimo anniversario del ritrovamento del corpo senza vita di Giulio Regeni: “È stato un omicidio di Stato. Il punto è che in un’aula di tribunale si arrivi a proclamare questa verità anche da un punto di vista giudiziario. Se manca questo avremo una verità senza giustizia”.
A cura di Ida Artiaco
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Giulio Regeni
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"Noi la verità ce l'abbiamo da tempo perché chiunque conosca la storia dell'Egitto e di Al Sisi si è fatto un'idea molto chiara e cioè che è stato un omicidio di Stato. Il punto non è la verità in quanto tale ma che in un'aula di tribunale si arrivi a proclamarla anche da un punto di vista giudiziario. Se manca questo avremo una verità senza giustizia".

Così Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, a Fanpage.it nel giorno del settimo anniversario del ritrovamento del corpo senza vita di Giulio Regeni al Cairo. Era, infatti, il 3 febbraio 2016 quando il cadavere dello studente friulano venne rinvenuto senza vita e con evidenti segni di tortura nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti a circa una settimana dalla sua scomparsa.

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A sette anni da quel tragico giorno, i punti interrogativi sulla vicenda restano ancora molti. "Noi abbiamo un elenco ormai infinito di ministri degli esteri e presidenti del consiglio che negli ultimi anni hanno incontrato autorità egiziane e si sono fatti dare rassicurazioni che sono sempre risultate vane. Io vedo questo mantra che si ripete di persone che vanno al Cairo e tornano convinte che ci sarà una svolta", ha detto Noury.

Ma qualcosa potrebbe effettivamente cambiare il prossimo 13 febbraio. "Noi abbiamo di fronte una data di calendario importante, che è il 13 febbraio, esattamente dieci giorni dopo il tragico e spaventoso anniversario del ritrovamento del corpo torturato di Giulio, quando si deciderà presso il giudice dell'udienza preliminare di Roma se andare a processo – ha spiegato il portavoce di Amnesty Italia -. Il problema che tiene fermo tutto è che secondo la legge italiana occorre notificare i domicili privati degli imputati tutti gli atti riguardanti il processo nei loro confronti. Da parte egiziana non sono mai stati forniti questi indirizzi perché da parte italiana non sono mai stati chiesti con convinzione".

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Dunque, ha proseguito, "se il 13 febbraio si avranno questi indirizzi e potrà partire il processo vuol dire che in Egitto c'è una fase nuova. Io però sono pessimista, anche perché l'Egitto è ancora di più un partner strategico per l'Italia da quando è stato necessario diversificare i fornitori di idrocarburi per non finanziare la guerra della Russia in Ucraina e l'Egitto è uno di quelli a cui siamo andati a chiedere ancora di più".

Anche perché la situazione proprio in Egitto continua a peggiorare. "A luglio saranno 10 anni dal colpo di stato di Al Sisi e di questi 7 riguardano anche vicende italiane. La crisi dei diritti umani era cominciata però sin da subito, dal 2013, quando sono state fatte leggi liberticide, c'è stato uso della tortura, sparizioni forzate, dissenso criminalizzato con il reato pigliatutto di diffusione di notizie false. Ci sono 60mila prigionieri politici, e tra questi 6mila sono persone che non hanno mai commesso un atto di violenza, come Patrick Zaki e altri blogger e avvocati. In più, le autorità egiziane si sono fatte anche recentemente più scaltre perché hanno spacciato questa loro strategia nazionale sui diritti umani come una inversione di tendenza che avrebbe favorito un riallineamento dell'Egitto rispetto agli standard del diritto internazionale sui diritti umani. Ma era tutta fuffa, che però ha premiato perché ad esempio gli è stato permesso di ospitare la Cop 27″, ha concluso Noury.

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