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Omicidio Giulio Regeni

Caso Regeni, la Corte Costituzionale: “Nessuna immunità per il reato di tortura”

Depositate ieri le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale che il 27 settembre ha dichiarato illegittima l’archiviazione del procedimento nei confronti degli agenti egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni.
A cura di Davide Falcioni
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Giulio Regeni
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Sono state depositate ieri le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale che il 27 settembre ha dichiarato illegittima l'archiviazione del procedimento nei confronti degli agenti egiziani accusati dell'omicidio di Giulio Regeni. Secondo la Consulta "non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale", la paralisi sine die del processo per i delitti di tortura commessi da agenti pubblici, quale deriverebbe dall'impossibilità di notificare personalmente all'imputato gli atti di avvio del processo a causa della mancata cooperazione dello stato di appartenenza. Questa impossibilità – si legge ancora nella motivazione della Corte, “si risolve nella creazione di un'immunità de facto, che offende tra l'altro i diritti inviolabili della vittima e il principio di ragionevolezza", oltre che "gli standard di tutela dei diritti umani recepiti e promossi dalla convenzione di New York".

È questo il punto principale della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha interrotto la stasi del processo per l'omicidio, il sequestro e la tortura di Giulio Regeni, stabilendo che il giudizio davanti alla Corte d'assise di Roma a carico degli uomini dei servizi segreti egiziani può e deve essere celebrato, nonostante sia stato impossibile notificare loro gli atti a causa dell'ostruzionismo delle autorità del Cairo, che non hanno mai fornito i loro indirizzi. La decisione ha restituito ai familiari di Giulio Regeni la speranza di ottenere finalmente verità e giustizia; come si ricorderà il ricercatore friulano, scomparso il 25 gennaio del 2016, venne ritrovato senza vita dieci giorni dopo lungo una strada alla periferia del Cairo.

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Il cadavere del giovane mostrava segni evidenti di tortura: contusioni e abrasioni in tutto il corpo, come quelle tipicamente causate da un grave pestaggio, lividi, dozzine di fratture ossee, ma anche coltellate multiple, tagli e bruciature di sigarette. L'autopsia rivelò un'emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo, verosimile causa della morte.

Nonostante tali evidenze il procedimento nei confronti degli agenti egiziani accusati dell'omicidio di Giulio Regeni venne archiviato, decisione giudicata illegittima dalla Suprema Corte lo scorso 27 settembre. Secondo i giudici, infatti, lo statuto universale del crimine di tortura, delineato dalle dichiarazioni sovranazionali e dai trattati, "è connaturato alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana". Pertanto, il dovere dello Stato di accertare giudizialmente la commissione di questo delitto si presenta come "il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità". La sentenza pronunciata il 27 settembre scorso ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall'art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell'imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

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