Caso Aldrovandi, gli agenti chiedono di finire la pena fuori dal carcere

I legali di Paolo Forlani, uno dei tre agenti che si trovano in carcere perché condannati in via definitiva per la morte di Federico Aldrovandi, hanno chiesto di fare in modo che il loro assistito termini la pena fuori dalla prigione (ai sensi della legge 199 del 2010, la "svuotacarceri" che consente la detenzione domiciliare per pene non superiori ai diciotto mesi). Lo stesso espediente potrebbe essere adottato da chi difende Monica Segatto, l'unica donna tra i quattro agenti che la notte del 25 settembre 2005 massacrarono di botte il 18enne ferrarese. I poliziotti sono stati condannati a sei mesi, cioè il residuo della pena originaria a 3 anni e sei mesi per eccesso colposo nell'omicidio colposo di Aldrovandi, visto che tre anni sono coperti dall'indulto. Un altro poliziotto condannato Luca Pollastri ha scelto la strada del ricorso in Cassazione contro l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna che lo scorso 29 gennaio ha respinto la richiesta di misure alternative e disposto il carcere dal momento che "non riesce il tribunale a individuare qualsivoglia elemento di meritevolezza atto a sostenere la concessione e poi la corretta fruizione, ai fini rieducativi, dei benefici penitenziari". La nuova richiesta sarà discussa dal magistrato di sorveglianza dei due distretti interessati, quello di Bologna, per Forlani e Pollastri, e quello di Padova, per la Segatto. La posizione del quarto agente condannato, Enzo Pontani, che ha richiesto misure alternative al carcere, sarà invece discussa il prossimo 26 febbraio.