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Cadaveri fatti a pezzi a Tropea

Cadaveri fatti a pezzi al cimitero di Tropea: “Sui corpi hanno ricavato 140mila euro”

Scene agghiaccianti quelle catturate dalle videocamere nascoste nel cimitero di Tropea: corpi fatti a pezzi e bruciati per rivendere i loculi ai parenti di altri defunti. Sotto accusa 3 persone che avrebbero lucrato sul traffico illegale di corpi. Secondo l’accusa, avrebbero guadagnato negli anni circa 140mila euro.
A cura di Gabriella Mazzeo
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In seguito a una segnalazione di Pietro Di Costa, sono iniziate le indagini a carico dei tre con videocamere nascoste. In particolare si legge che uno dei tre indagati, Francesco Trecate, si sarebbe recato a casa di Di Costa per avere notizie in merito alle voci che circolavano in paese sull'attività illecita nel cimitero di Tropea. Il custode chiedeva infatti per la sepoltura la somma di circa 500 euro e per portare a termine il compito bruciava poi i corpi e le bare con il figlio Salvatore e Contartese, gli unici due che si occupavano della gestione dei loculi insieme a Francesco Trecate. Negli anni, i tre avrebbero guadagnato in questo modo circa 140mila Euro.

Sono immagini terribili quelle che gli inquirenti hanno visto nelle riprese delle telecamere poste nel cimitero calabrese, dove alcuni addetti riesumavano le salme per liberare le tombe da rivendere. I cadaveri venivano bruciati insieme alle bare per non lasciare traccia. L'inchiesta della guardia di Finanza di Vibo Valentia ha portato all'arresto di tre persone: il custode comunale del cimitero, Francesco Trecate, il figlio Salvatore e Roberto Contartese, loro aiutate.

I tre si cimentavano nell'operazione con frequenza, in orario di chiusura al pubblico. In particolare, le immagini mostrano i tre che tolgono i vestiti alle salme e iniziano poi a sezionarle. Agghiacciante l'immagine di uno dei tre indagati che mostra la testa di una defunta dopo averla decapitata come un trofeo prima di riporre in un sacco nero i resti. L'episodio a cui si fa riferimento è del 20 novembre e il giorno dopo il loculo è stato utilizzato per la sepoltura di una nuova salma. La bara precedentemente inserita e il corpo sono stati bruciati per ripulire il campo dalle prove.

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Accuse anche all'amministrazione comunale

L'accusa si rivolge anche all'amministrazione comunale. Secondo quanto dichiarato, infatti, anche il sindaco Giovanni Macrì sapeva cosa accadeva nel cimitero locale dopo che gli era stato segnalato più volte. L'uomo avrebbe invitato i consiglieri comunali a "farsi i fatti propri". I tre, secondo l'accusa, utilizzavano per il trasporto delle salme un mezzo fornito direttamente dal Comune.

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